Una società laica può vivere indipendentemente da Dio? Ezio Mauro, direttore de La Repubblica, lo lascia intuire, seppur dopo aver manifestato la più ampia considerazione per la Chiesa e pieno rispetto per la verità che testimonia e che, a suo dire, dovrebbe essere ritenuta un valore anche per i non credenti. Il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, che con Mauro ha dialogato lo scorso 22 gennaio in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, ha ovviamente una convinzione opposta.
«Invito tutti a partire dall’ipotesi contraria a quella accennata dal direttore, e cioè che è più conveniente per la società vivere non indipendentemente da Dio. Anche nel rispetto della tradizione del nostro Paese. È più costruttivo e confacente al bisogno del popolo l’ipotesi che il riferimento a Dio sia benefico e consenta la vita buona a cui la nostra società aspira». Sempre che la vita buona sia ritenuta indispensabile per l’edificazione – puntualizza il patriarca – del bene comune. E tutto questo – precisa ancora Scola cercando di rassicurare Mauro nelle sue preoccupazioni – al di fuori d’ogni logica impositiva. L’uomo, infatti, si dà in relazione: con se stesso, con gli altri, con Dio. Tre relazioni che l’uomo incontra «oggettivamente» e che anche per il non credente o il 'diversamente' credente «c’è tutto lo spazio di verificarlo», ancorché non abbia ancora scoperto Dio e a lui si limiti a rapportarsi come con «una grande X». L’incontro al quale hanno partecipato numerosi giornalisti di tutte le testate veneziane, oltre che i vertici dell’Ordine professionale regionale, è stato preceduto dalla celebrazione dell’Eucaristia, nella cripta della Basilica di San Marco, con la partecipazione, tra gli altri, del vescovo ausiliare Beniamino Pizziol e del direttore di Gente Veneta don Sandro Vigani. Nell’introduzione del dialogo Mauro ha fra l’altro sottolineato l’importanza che la Chiesa continui ad avere «idee forti», perché utili alla società, e di cui, ha precisato, «la cultura laica non dovrebbe avere paura». Soffermandosi sul lavoro giornalistico, ha osservato che questo «è la ricerca di senso, di significato», non mero flusso di informazioni.
Alla prima domanda su come gli uomini di Chiesa debbono stare dentro la società plurale, Scola ha risposto che «anzitutto va accettata», anche se si presenta in termini conflittuali. E che poi bisogna portare al suo interno la propria esperienza di vita. A questo punto va allargato il concetto stesso di laicità, attraverso una continua narrazione di sé in vista di un comune riconoscimento reciproco. «Sono convinto che la società sia tanto più avanzata e civile – ha esemplificato Scola – quanto più la famiglia è solida, fondata sull’unione stabile di un uomo e di una donna ed aperta alla vita ». Stuzzicato da Mauro ad entrare nel merito delle vicende politiche e di costume, il cardinale Scola ha fra l’altro sottolineato che «è sempre sbagliato il populismo che scavalca le regole comuni» e che «non bisogna mai rompere il trinomio diritti-doveri-leggi».
Secondo taluni osservatori, il populismo trae fondamento anche dalla società civile, che pertanto va considerata superata. Invece no, secondo il patriarca. La società civile è una ricchezza irrinunciabile, perché altrimenti ne perderebbe la democrazia. Ricchezza, quindi, da tutelare e semmai ulteriormente valorizzare. Con le istituzioni che non entrano nel merito della sua gestione, ma semmai la governano. Il patriarca ha infine precisato – alla richiesta di commentare le ultime vicende del presidente del Consiglio – che l’episcopato italiano è coeso quando si tratta di dare giudizi chiari su questioni dottrinarie o morali.