UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Venezia vola alto:
Leone al Faust di Sokurov

Il Leone d’Oro al Faust di Aleksandr Sokurov era stato invocato dagli ad­detti ai lavori sui titoli di coda del film. E i cinefili sono stati accontentati. Com­mosso, Sokurov ricorda la ne­cessità di amarci l’un l’altro e di comprenderci, ringrazian­do quanti l’hanno ac­compagnato in un viaggio lungo e fati­coso.
12 Settembre 2011
Il Leone d’Oro al Faust di Aleksandr Sokurov era stato invocato dagli ad­detti ai lavori sui titoli di coda del film. E i cinefili sono stati accontentati. Il presidente della giuria chiamata a giudi­care il concorso di Venezia 68 ha assegnato il premio più ambito a un’opera sontuosa, complessa, monumentale, vi­sionaria che chiude la tetra­logia del regista dedicata alla natura del potere e si interro­ga sull’inesauribile sete di co­noscenza dell’uomo proietta­to verso la modernità. Com­mosso, Sokurov ricorda la ne­cessità di amarci l’un l’altro e di comprenderci, ringrazian­do tutti coloro che l’hanno ac­compagnato in un viaggio lungo e fati­coso. E aggiunge: «Oggi fare cinema di qualità è sempre più difficile, mancano aiuti».
Il Leone d’argento per la regia è andato invece a People Mountain People Sea, film cinese arrivato a sorpresa alla Mostra e diretto da Shangjun Cai che denuncia la condizione disu­mana alla quale sono con­dannati tanti cinesi ridotti quasi in schiavitù. Un film dif­ficile che ha diviso i festiva­lieri, ma che conferma co­munque il talento di un regi­sta alla sua opera seconda. Al­l’Italia invece il Premio Spe­ciale della Giuria assegnato a Terraferma di Emanuele Cria­lese (già nelle sale distribuito da 01) che affronta uno dei te­mi cardine del Festival, quel­lo dell’immigrazione e dei di­ritti umani. «Ringrazio gli a­bitanti delle isole di Linosa e Lampedusa – ha detto il regi­sta – per avermi insegnato a guardare oltre l’orizzonte an­gusto ». Ottima poi la scelta degli at­tori premiati con la Coppa Volpi. Il migliore interprete è l’americano Michael Fas­sbender per Shame di Steve McQueen che esplora l’infer­no interiore del protagonista condannato all’infelicità dai suoi stessi eccessi. Non un racconto compiaciuto delle bassezze umane, ma il ritrat­to doloroso di un uomo che invoca Dio sperando nella propria redenzione. La cine­se Deanie Yip vince invece per la sua interpretazione in A Simple Life di Ann Hui, uno dei film più solidi e convin­centi del concorso (vincitore anche del Premio Padre Na­zareno Taddei, per il suo va­lore umano): attraverso la vi­cenda di un cineasta impe­gnato a prendersi cura della domestica che ha accudito la sua famiglia per quattro ge­nerazioni, la pellicola riflette su riconoscenza e dedizione, vecchiaia e morte e accom­pagna per mano senza retori­ca il pubblico che assisterà al dolce spegnersi dell’anziana donna.
I giapponesi Shota Sometani e Fumi Nikaido hanno otte­nuto poi il Premio Marcello Mastroianni dedicato agli at­tori emergenti per il film Hi­mizu di Sion Sono che ritira il riconoscimento e lo dedica al futuro dei giovani, dovunque essi siano. Il film racconta in­fatti di due ragazzi che cerca­no il proprio spazio in un mondo devastato dallo tsu­nami e dal disastro nucleare. Un premio discutibile (lo a­vrebbe, per esempio, merita­to Cloe Moretz per il film Texas Killing Fields di Ami Ca­naan Mann) che fa salire a tre (decisamente troppi) i film a­siatici finiti sul podio, così co­me è incomprensibile l’Osel­la per la migliore sceneggia­tura al greco Alpis di Yorgos Lanthimos e Efthimis Filip­pou che parte da un’idea mol­to interessante – un’agenzia offre persone che si sostitui­scono ai deceduti per aiutare le famiglie a elaborare il lutto – per poi perdersi in un plot spesso incomprensibile.
Meritato invece il premio al­la fotografia di Cime tempe­stose di Andrea Arnold, un film non riuscito ma sostenu­to da immagini che rendono gli aspri paesaggi i veri prota­gonisti della storia. Il Leone del futuro destinato alla mi­gliore opera prima premia ancora una volta il grande tema del Festival e va a La­bas di Guido Lom­bardo (selezionato dalla Settimana della critica) girato in Campania, ma inte­ramente parlato in francese da immigra­ti nordafricani che hanno lasciato la propria terra per andare lon­tano, altrove, spinti dalla di­sperazione o dal desiderio di fare fortuna. Un affresco cru­do e feroce del nostro paese dove a riportare un briciolo di umanità sono proprio coloro ai quali si tenta di strappare la propria identità. Occhi spa­lancati sulla realtà dunque, ma rivolti anche alle grandi domande dell’uomo: a Vene­zia vincono opere neorealiste e opere letterarie, piccoli film con attori non professionisti e grandi produzioni interna­zionali, l’Asia, Europa e l’A­merica, ma rimangono fuori ottime pellicole come quelle di Polanski e Cronenberg, che pure si erano piazzate tra le favorite. Ma ora la parola pas­sa al pubblico.