UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Visibilità? A chi troppo… e a chi niente!

Carla Collicelli dalle colonne di Avvenire riflette sulle storture del sistema dei media a partire dalla paradossale ambientazione di un celebre “reality show” in uno degli angoli più poveri del pianeta. Ma non mancano segni di speranza in controtendenza…
13 Marzo 2012
Sta circolando su vari tavoli, siti online e pagine di giornale (comprese queste di Avvenire ) la lettera di un missionario comboniano, padre Manuel Ceola, che denuncia «insensibilità, cinismo e ipocrisie» della trasmissione 'L’isola dei famosi'. Padre Coela ricorda che il reality show si svolge in un’isola dell’Honduras, Paese «abitato da milioni di diseredati». Un passaggio importante della lettera racconta come l’Honduras «sta sanguinando, ferito a morte dalla violenza, dalla povertà crescente, dalla mancanza di rispetto per la vita e dalla corruzione tra le forze dell’ordine». E lamenta che « reality di dubbio valore morale e culturale, solo perché fanno audience e sono possibili attrazioni e facili catalizzatori di interesse» realizzano uno spettacolo nel quale «persone a cui nel loro Paese non manca nulla si prendono il lusso di fingere fame in un Paese dove la fame c’è davvero, di fingere lotte per la sopravvivenza dove gente lotta e muore per davvero, di fingere urla di dolore o di rabbia dove più di 350 uomini hanno gridato, urlato la loro disperazione, il loro dolore nel vedersi intrappolati dalle fiamme».
Il grido di allarme del sacerdote missionario solleva nuovamente, come se ve ne fosse ancora bisogno, il paradosso dato dal corto circuito perverso, tra la invisibilità delle persone vere, delle vite vere e dei veri poveri, e la spudorata ed eccessiva visibilità di tutto ciò che fa capo ai meccanismi della audience e dei relativi guadagni e interessi. Lo spettacolo in questione, e il comparto dei reality presi nel loro insieme, sono solo una delle forme con le quali la moderna comunicazione costruisce e trasmette una immagine distorta dei problemi della vita e del mondo. Basti pensare al progressivo snaturamento di molte attività ricreative e di svago, come quelle sportive, che, nel momento in cui entrano in contatto con i meccanismi delle sponsorship miliardarie, dei diritti televisivi, dei compensi fuori misura, perdono la genuinità e la trasparenza che avevano e diventano meri tasselli di meccanismi economici e di guadagno. O basti pensare a manifestazioni artistiche, come il Festival di Sanremo, che si trasformano, da gare canore che erano, in prosceni ampliati a dismisura dal servizio pubblico televisivo e utilizzati per la diffusione di messaggi (e persino di suggestioni e ipotesi politiche) personali, che richiederebbero – se mai se ne sentisse davvero la necessità – tutt’altra modalità di rappresentazione (con contraddittorio, in contenitori adatti, con tempi adatti...). O ancora ai 'luoghi' televisivi nei quali si punta ad attrarre audience solo attraverso l’immagine ostentata del corpo femminile.
Impressiona soprattutto il fatto che stiamo assistendo da alcuni decenni a una vera e propria escalation da questo punto di vista, a una crescita vorticosa della spettacolarizzazione di sentimenti costruiti sulla scena per provocare emozioni inconsulte, dell’occupazione degli spazi pubblici da parte di chi produce più audience, della mercificazione dell’immagine della donna. E la crisi economica e di valori morali si ciba anche di questo tipo di manifestazioni.
Dobbiamo accogliere allora con particolare positività i pochi segnali opposti di attenzione e di spazio dedicato ai veri problemi e alle categorie più nascoste. Fra questi lo spazio che si comincia a delineare per un’attenzione partecipata ai problemi dei disabili. Il progetto 'Centralità della persona' (promosso da Censis e Fondazione Serono), ha ottenuto interessanti risultati da questo punto di vista, non solo portando autorevoli rappresentanti del mondo delle istituzioni e della politica a discuterne in pubblico e a formulare proposte di miglioramento, ma anche conquistando spazi pure su quotidiani generalmente distratti e sulla rete internet, ad esempio, con il blog Invisibili.
Che il tempo del visibile a tutti i costi stia lentamente entrando in crisi? Certo, c’è un gran lavoro da fare per dare spazio all’invisibile.