UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Voce
dei senza voce

Mai come oggi è vero lo slogan che accompagna da sempre la storia dei 186 giornali diocesani, raggruppati nella Federazione italiana settimanali cattolici: storie e drammi, ai più sconosciuti, hanno come cifra comune la grande crisi economica.
27 Agosto 2013
“Essere voce dei senza voce”. Mai come in questo momento è parso di cogliere appropriato lo slogan che accompagna da sempre la storia dei 186 giornali diocesani, sparsi su tutto il territorio nazionale e raggruppati nella Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici). Sfogliare le diverse edizioni di questi ultimi due anni è un colpo al cuore. Ci s’imbatte in storie e drammi, ai più sconosciuti, che hanno come cifra comune la grande crisi economica. Solo adesso, dicono gli analisti, questa sta leggermente allentando la sua morsa; anche se i suoi segni restano come tracce indelebili su tutto il Paese. Le difficoltà delle famiglie a tirare avanti fino alla fine del mese, gli affanni e le sofferenze degli imprenditori, lo smarrimento di chi, licenziato, non riesce più a reinserirsi nel mondo del lavoro... Vissuti che s’intrecciano con chi vive le difficoltà delle grandi aziende o dei grandi poli industriali: Fiat (Mirafiori), Ilva (Taranto), Indesit (Fabriano), Natuzzi (Puglia e Basilicata).
Storie di solidarietà e condivisione. “I nostri giornali - spiega Francesco Zanotti, presidente della Fisc - sono, da sempre, interpreti del sentire della gente. Con questo spirito si sintonizzano con le questioni che riguardano il territorio. Ciò vale anche oggi in occasione delle diverse chiusure di aziende. Con le famiglie che rischiano di restare senza reddito, il giornale diocesano si fa compagno di viaggio, condividendo un tratto di strada difficile da percorrere”. Anzi, aggiunge Zanotti, “i nostri giornali non possono non interessarsi a queste vicende. Uscire, andare incontro agli ultimi nelle periferie delle città e in quelle esistenziali, come chiede a tutti noi Papa Francesco, per raccontare le mille storie di solidarietà e di condivisione di cui sono ricche le nostre comunità locali”. È lo spirito, ad esempio, che muove Alessandro Repossi, direttore del Ticino (Pavia), nell’affrontare la decisione della multinazionale farmaceutica “Merck Sharp & Dhome” di chiudere lo stabilimento pavese entro la fine del 2014. Se ciò accadrà, dice Repossi, “gli attuali 270 dipendenti resteranno senza un’occupazione: e, insieme a loro, faranno la stessa fine altre 130 persone che oggi operano in ditte dell’indotto farmaceutico. La ricaduta sarebbe pesantissima per tutta la città. Ecco perché nessuno, che abbia a cuore le sorti della nostra comunità, può permettersi di fare spallucce di fronte al dramma dei lavoratori della Merck”.
Un luogo simbolico. Scenario più drammatico a Mantova, dove con la chiusura della cartiera “Burgo” si è consumata la fine di un’era. L’azienda, infatti, opera sul territorio mantovano da 111 anni. Opera... il verbo al presente è voluto perché i 188 operai di mollare non ne vogliono proprio sapere. E così, dopo i tanti presidi davanti allo stabilimento, si sono inventati - sempre lì davanti - l’orto biologico a chilometro zero, coltivando, insieme a verdure e ortaggi, la speranza che l’azienda possa riprendere la produzione ferma ormai da febbraio. Un auspicio, questo, ribadito più volte dalla Cittadella (giornale diocesano) che, a ragione, considera la cartiera un “luogo simbolo” da “mantenere vivo”, perché “lì c’è la nostra storia”. In una lunga intervista al settimanale, Giovanni Mantovanelli, leader sindacale ed ex dipendente della Burgo, dove ha lavorato per oltre 40 anni, sintetizza le cause che hanno portato alla chiusura: “Lo stabilimento è programmato per realizzare un’unica tipologia di carta, quella da giornale, per i quotidiani. E con la rivoluzione digitale in atto...”. Eppure bastava poco: nei giorni prima della chiusura, riferisce Mantovanelli, si è svolta “una sorta di prova” in cui “è stata realizzata una carta da utilizzare per varie destinazioni, comunque sempre nell’ambito del packaging, degli imballaggi”. Ad oggi regnano, però, l’incertezza e l’amarezza. “Questo - confida il sindacalista - non è stato un luogo di lavoro ‘normale’: ha fatto la storia della collettività, negli anni del cambiamento; è un simbolo delle grandi conquiste democratiche ottenute”.
La responsabilità sociale. Stabilimenti storici che chiudono, famiglie in difficoltà... Ma a soffrire per la crisi sono anche gli imprenditori, “quelli che nella loro azienda vedono pure una responsabilità sociale”. È quanto conferma Vincenzo Rini, direttore della Vita Cattolica (Cremona), che parla di un incontro con un amico, costretto a chiudere la sua azienda. Il problema, confida l’imprenditore, “non è tanto per me e per la mia famiglia” ma per “le quasi 80 persone che restano senza lavoro e altrettante famiglie che rimangono senza stipendio...”. La situazione economica attuale, riflette Rini, “spesso distrugge queste persone. Sono quelli che hanno il cuore grande; lavorano non solo per sé, ma per il bene comune, con la consapevolezza di avere una grave e importante responsabilità sociale”. Sono queste solo alcune storie di “senza voce” cui i giornali Fisc cercano di dare voce.
 
Vincenzo Corrado