UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Vogliono far morire
quasi 200 tv locali”

Vertice ad Ancona di direttori, presidenti e responsabili tecnici delle piccole emittenti In Toscana, banco di prova della telemattanza. Sono solo 18 i canali da assegnare su quasi 70 testate presenti.
12 Agosto 2011
Alle ferie hanno dovuto rinun­ciare. Perché, quando il desti­no delle televisioni locali si de­cide in pieno agosto e il ministero del­lo Sviluppo economico fa uscire nei giorni a cavallo dell’Assunta il primo dei bandi regionali che stabiliranno quali emittenti manterranno accesi i ripetitori, allora le vacanze diventano un orpello. Anche su invito degli edi­tori, compreso qualche vescovo che, mentre è in partenza per la Gmg di Madrid, ha accanto il cellulare per sa­pere se la tv del territorio sarà o me­no risucchiata dal taglio di nove fre­quenze voluto dal governo per desti­narle alla telefonia mobile.
E così, eccoli ad Ancona i direttori, i presidenti e i responsabili tecnici del­le locali che vanno in onda nelle regioni del Centro Italia e che nei prossimi mesi af­fronteranno il pas­saggio al digitale. Convocati ieri dalla Aeranti-Corallo, l’as­sociazione che rap­presenta 320 impre­se televisive. Obietti­vo: capire quale effetto avrà il docu­mento diffuso mercoledì dal ministe­ro - e pubblicato oggi sulla Gazzetta ufficiale - che determinerà la gradua­toria delle tv «salve» in Liguria ma che farà da modello anche alla revisione della digitalizzazione in tutta la Peni­sola.
Già dai volti tesi si com­prende che il testo non risponde alle attese delle «piccole». E, quando dopo quattro ore di confronto qual­cuno prova a tirare le somme, le previsioni sono tutt’altro che ras­sicuranti. «Le stime sulle locali che non ce la faranno re­stano quelle – spiega l’avvocato Mar­co Rossignoli, coordinatore dell’Ae­che ranti-Corallo –: duecento emittenti sono destinate a non poter contare su una rete di trasmissione, anche dopo i correttivi introdotti dal ministero». Lo ripete il presidente della Corallo, Luigi Bardelli: «Forse il bando, così co­me elaborato, limiterà qualche danno. Ma la filosofia che ci sta dietro è avvi­lente: si consolidano i network nazio­nali; e a livello locale sarà favorito chi punta su una logica economicistica: fatturato, personale, diffusione del se­gnale per vendere pubblicità». E le tv di servizio che, come quelle comuni­tarie d’ispirazione cattolica, sono lo specchio del territorio? «Sembra che la loro esistenza sia vista come un er­rore ». Senza staccare gli occhi dallo scher­mo, la platea ospitata nella sede del­l’Ascom ascolta Rossignoli che snoc­ciola articoli e possibili interpretazio­ni. Quel che appare sicuro è la scelta di privilegiare le reti maggiori, quan­do si tratta di destinare le frequenze che in regioni dall’etere affollato non basteranno per tutte. Per tendere una mano alle «piccole» il dicastero gui­dato da Paolo Romani ha previsto an­le intese fra le tv attive in aree dif­ferenti (ad esempio, province diver­se) che daranno un bonus in base al numero delle emittenti 'unite'. «Una strada che può fun­zionare se la capofila è una televisione commerciale e si por­ta dietro le più picco­le », suggerisce l’avvo­cato. Una soluzione? Difficile dirlo. «Però, se almeno questa possibilità è stata pre­vista, lo si deve alla battaglia che ha avuto un prezioso al­leato in Avvenire», tengono a precisa­re Rossignoli e Bardelli. Le cifre restano, comunque, da brivi­do. In Toscana, primo banco di prova per le 'telemattanza', i canali da as­segnare sono 18 e le tv presenti sfio­rano le 70. «Con le intese – ipotizza Rossignoli – si potrebbe arrivare a tro­vare spazio per 25 o 30 emittenti». Il resto potrà scegliere di chiudere i bat­tenti con una buonuscita che è quel­l’indennizzo previsto dal governo con un decimo degli introiti della gara per la banda larga oppure di farsi traspor­tare nel mux di una tv che ha ottenuto almeno un canale. «Per le nostre emit­tenti – aggiunge il coordinatore – il pos­sesso degli impianti è ciò che dà la certezza di trasmettere. Del resto, se l’operatore di rete che affitta lo spazio fallisse o non garantisse una diffusione capillare fino all’ultima valle dove a­desso un’emittente ar­riva, i contenuti non en­trerebbero nelle case».
Figurarsi quello che succederà fra Pie­monte orientale e Lombardia in cui le televisioni già passate al digitale sono 100 o in Campania dove superano le 80. «Arrendersi? Neppure per idea – ri­lancia Bardelli –. Siamo pronti a com­piere ogni sforzo per continuare a es­sere in mezzo alla nostra gente. Anche se ci vuole un’autentica vocazione per non crollare». Una vocazione che, a due passi da mare, non fa andare in spiaggia, ma a discutere di bilanci o coperture video pur di non ammaina­re le antenne.