UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

XIV Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione

Dal SIR il Rapporto “I media e il nuovo immaginario collettivo”, presentato il 4 ottobre e promosso anche da Facebook, Mediaset, Rai, Tv2000 e Wind Tre.
5 Ottobre 2017

Il “posto fisso” resiste, ma è tallonato dai social network. Così la casa di proprietà si colloca al terzo posto, ma quasi a pari merito con lo smartphone. L’insolita classifica dei “miti” degli italiani è illustrata nel 14° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, presentato il 4 ottobre, a Roma (Sala Zuccari del Senato) da Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis. Ne dà notizia l'agenzia Sir, che spiega come nell’epoca della rivoluzione (e della disintermediazione) digitale, i new media hanno contribuito non solo a modificare abitudini e comportamenti quotidiani, ma ridefiniscono anche l’immaginario collettivo rivoluzionandone attese, simboli, priorità, valori di riferimento.
I “miti della contemporaneità” sono dunque cambiati anche grazie a Internet e ai social network.
Non è un caso, quindi, che il titolo prescelto per il Rapporto dell’Istituto di ricerca socio-economica Censis e dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi), promosso da Facebook, Mediaset, Rai, Tv2000 e Wind Tre, sia “I media e il nuovo immaginario collettivo”.

Alcuni dati. Nel 2017, Internet si è diffuso nel 75,2% della popolazione, l’1,5% in più rispetto al 2016 (e il 29,9% in più rispetto al 2007). Il telefono cellulare è usato dall’86,9% degli italiani e lo smartphone, in particolare, dal 69,6% (solo dal 15% nel 2009). Gli utenti di WhatsApp (il 65,7% degli italiani) coincidono con le persone che usano lo smartphone, mentre circa la metà degli italiani usa Facebook (56,2%) e YouTube (49,6%). In due anni Instagram ha raddoppiato la sua utenza (nel 2015 era al 9,8% e oggi è al 21%), mentre Twitter resta attestato al 13,6%. Complessivamente, nel 2016 la spesa per smartphone, servizi di telefonia e traffico dati ha superato i 22,8 miliardi di euro.
Tra digital divide e “giovanilizzazione”. Nel panorama del consumo mediatico degli italiani, la grande novità dell’ultimo anno è rappresentata dalle piattaforme online che diffondono servizi digitali video e audio, come ad esempio Netflix o Spotify. Resiste la tv, soprattutto fra gli anziani, mentre la radio si conferma ancora ai vertici delle preferenze, con una utenza complessiva dell’82,6%. Continua a crollare la lettura di libri e quotidiani (questi ultimi li legge solo il 35,8% degli italiani). Aumenta tra giovani e anziani il digital divide, mentre tra giovani e adulti i comportamenti mediatici sono sempre più omogenei, tanto che il Rapporto parla di “giovanilizzazione” di questi ultimi. Nel 2017 viene infatti praticamente colmato il gap nell’accesso a Internet, social network, smartphone etc.

Bufale e post-verità. Sono un’emergenza informativa globale: alle fake news, secondo il Rapporto, più della metà degli utenti ha dato credito, percentuale che scende di poco per le persone più istruite, ma sale al 58,8% tra i più giovani. Se tre quarti degli italiani (soprattutto diplomati e laureati) ritengono le “bufale” sul web un fenomeno pericoloso, creato ad arte per inquinare il dibattito pubblico e favorire il populismo, i giovani, invece, danno meno peso a queste valutazioni. Il 44,6% di quelli tra i 14 e i 29 anni ritiene addirittura che l’allarme sia sollevato dalle vecchie élite dei giornalisti che a causa del web hanno perso il loro potere. “Ecco perché – spiega il Rapporto – le smentite degli organi di stampa spesso non riescono a mettere in crisi le false notizie che circolano in rete: specie tra i giovani cresciuti con il mito di Internet come regno della libertà”.

Veridicità e credibilità. Per Vania De Luca, presidente Ucsi, è importante “saper trasmettere la certezza della veridicità e credibilità dell’informazione che si propone, che non può essere messa sullo stesso piano di quella di fonti non certificate”. Su grandi temi come il lavoro ma soprattutto le migrazioni, “la percezione che si ha del fenomeno è molto diversa dalla realtà. Solo soggetti ‘accreditati’ possono fare la differenza”. Di qui il ruolo dei professionisti dell’informazione: “Contribuire a fare chiarezza aiutando a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso”.

Nuove icone. I processi innestati nell’ultimo decennio dalle diffusione delle tecnologie digitali – web e social network – hanno certamente portato alla personalizzazione dell’uso dei media, al primato dello sharing sul diritto alla riservatezza, alla “disintermediazione”, ossia alla possibilità di ottenere notizie, musica o film bypassando la mediazione professionale tradizionale. Tra gli effetti prodotti, affermano Censis e Ucsi, anche la riscrittura di valori e simboli che orientano aspettative, scelte e priorità della popolazione. Così, tra i fattori ritenuti più centrali nell’immaginario collettivo della società di oggi si trova ancora il “posto fisso” con il 38,5% delle opinioni, seguito però a poca distanza dai social network (28,3%), dalla casa di proprietà (26,2%) e ‒ quasi a pari merito ‒ dallo smartphone (25,7%).
Un mix di vecchio e nuovo nel quale i riferimenti radicati nella società del boom economico (cari alle generazioni adulte e anziane) si impastano con “i miti fondativi dell’app economy” preferiti dai giovani per i quali gli anni della crescita e dello sviluppo del Paese sono lontana preistoria.
Tra i 14 e i 29 anni i social si collocano infatti in prima posizione (32,7%), superando il posto fisso (29,9%) seguito dallo smartphone, oggetto di culto dall’alto impatto simbolico (26,9%), dalla cura del corpo (23,1%) e dai selfie “emblema dell’autoreferenzialità individualistica” (21,6%). Solo il 17,9% (ampiamente al di sotto della media) indica la centralità della casa di proprietà, il 14,9% l’obiettivo di conseguire un buon titolo di studio come garanzia di ascesa sociale, il 7,4% l’acquisto dell’automobile nuova.

La società condiziona l’informazione. È come sempre un provocatorio Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis, a trarre le conclusioni o, meglio, a rovesciare il tavolo: “Questo è un Paese che dal dopoguerra ha vissuto percorsi straordinari. Era la collettività che immaginava il suo passo e ha reso possibile il miracolo italiano”. Oggi l’informazione “che arriva a pensare che tutto sia legato ad una mappa di dati o ad un algoritmo” quale contributo “può dare all’immaginario collettivo?”. “Non è piuttosto che la società si sta sottilmente difendendo e vendicando in qualche modo dell’informazione?”. Un’informazione, osserva, “autopropulsiva su se stessa” ma “anche molto condizionata dalla società” che “spesso incide sui media e impone in qualche modo un suo immaginario collettivo che poi i media continuano”. “C’è la digitalizzazione, i big data aumentano ma credo ci sia un meccanismo di maggiore articolazione complessiva. Oggi è la società che spinge, va avanti, crede solo in se stessa; sarà l’informazione a doversi difendere”.