UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Don Renzo Rossi, efficace comunicatore del Novecento

Un libro e una mostra ricordano il prete fiorentino che ha speso la vita sulle strade degli ultimi, dalle periferie del capoluogo toscano alle favelas brasiliane.
15 Marzo 2022

È stata una delle figure più popolari della Chiesa fiorentina nella “stagione” del card. Elia Dalla Costa e di Giorgio La Pira, così ricca di gemme preziose di spiritualità, misericordia e carità. Un efficace comunicatore del Novecento. A don Renzo Rossi (1925-2013) sono dedicati un libro (Edizioni Sarnus) ed una mostra per ricordare “un cittadino del mondo”, una vita sulle strade degli ultimi, dalle periferie della sua città alle favelas brasiliane e poi in India, Terra Santa e Mozambico. Un racconto in prima persona attraverso le pagine di un diario lungo 70 anni, minuziosamente esplorato dal giornalista Andrea Fagioli, già direttore e tuttora collaboratore di “Toscana Oggi” nonché critico televisivo di “Avvenire”. Un supporto per il “viaggio fotografico” allestito da Polistampa dal 19 marzo al 3 aprile nel chiostro grande della Basilica della Santissima Annunziata.
La Fondazione Giorgio La Pira, l’Arcidiocesi ed il Comune di Firenze, il settimanale “Toscana Oggi” hanno collaborato all’iniziativa promossa dall’Associazione Archivi di cristiani nella Toscana del Novecento (Arcton) presieduta da Piero Meucci, che insieme ai Fondi di altri personaggi custodisce i 740 “diari” di don Renzo e le oltre 30mila fotografie da lui scattate o raccolte.
Parole ed immagini che costruiscono il profilo completo di un prete amato pure dai non credenti, così descritto da un suo compagno di seminario, il card. Silvano Piovanelli, il giorno delle esequie nella Basilica di San Lorenzo, il 27 marzo 2013: “Tu non hai mai rotto con nessuno e hai saputo pazientare con l’apertura di ascoltare tutti, anche i ribelli e i contestatori, ma sempre con la fedeltà più rigorosa alla Chiesa fiorentina e ai suoi arcivescovi”. Fedeltà maturata in una profonda “intimità con Gesù”, richiamata nella prefazione del libro, dal suo ultimo Pastore, il card. Giuseppe Betori: “Questo gli permetteva di attraversare tutti i luoghi della vita, anche i più impervi, i più pericolosi, con una radicata e disarmante serenità. Non c’è stata tragedia, non c’è stata povertà umana in cui don Renzo non sia entrato, senza mai lasciarsene risucchiare. Al contrario, facendosi vicino a tutti, egli ha aperto a tutti coloro che si trovavano nelle povertà - dalle favelas alle carceri dei detenuti politici, fino alle nostre comunità con i loro limiti - ha aperto a tutti orizzonti di vita nuova”.
Sempre gioioso, fin dai primi passi dopo l’ordinazione sacerdotale (1948, un anno dopo l’amico don Lorenzo Milani), quando al suo servizio nelle parrocchie di periferia (a Rifredi ha collaborato con don Giulio Facibeni, fondatore della Madonnina del Grappa) univa l’incarico di cappellano di fabbrica in anni di gravi tensioni nel mondo del lavoro, e di cappellano della Fiorentina del primo scudetto (1955). Fino a quando, nel 1965, non è partito per il Brasile - dove è rimasto fino al 1989 - per creare insieme a don Paolo Tonucci (Fano) e don Enzo De Marchi (Vercelli) la Comunità di Nostra Signora di Guadalupe a Salvador de Bahia, prima dell’arrivo di don Sergio Merlini, don Piero Sabatini, seguiti nel tempo da altri sacerdoti e religiose fiorentini e nel 1982 da don Alfredo Nesi a Fortaleza. Proprio a Bahia don Renzo ed i suoi confratelli hanno fatto germogliare i primi semi di amore e concreta solidarietà del Progetto Agata Smeralda per le adozioni a distanza, ormai diffuso in altre parti del mondo, dove c’è povertà e sono più evidenti i segni della guerra, come ora in Ucraina. Impegno incoraggiato da Papa Francesco nell’udienza concessa il 5 marzo ad una delegazione accompagnata nella Sala Clementina dal presidente professor Mauro Barsi e dal card. Betori: “Dare una mano a un bambino o a una bambina perché si sentano amati e non manchi loro il necessario vuol dire dare un futuro”.
Nei suoi “diari” riportati nella narrazione di Fagioli, don Renzo Rossi descrive in modo mirabile quell’inferno di discariche a cielo aperto e capanne precarie con dentro bambini denutriti, donne e uomini segnati dalla durezza della vita. Ed evidenzia come sia stata proprio la sua voce ad alzarsi, tra le prime, per condannare e far conoscere in tutta Europa le nefandezze della giunta militare e la tragedia dei “desaparecidos” attraverso le sue coraggiose “Lettere dal Brasile” allora pubblicate sull’“Osservatore Toscano” e su “Il Focolare”.
Oltre a ricostruire il lungo e generoso impegno missionario di questo prete-giramondo ispirato da monsignor Helder Camara, libro e mostra focalizzano la sua sfera familiare e le esperienze pastorali fiorentine meno conosciute, ci fanno capire come sono nate e manifestate le passioni di don Renzo per la fotografia, il cinema, la bicicletta, il calcio, in parte condivise con un altro grande sacerdote della sua “covata”, don Danilo Cubattoli, l’indimenticabile “don Cuba”.

Antonio Lovascio