UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Bruce Springsteen

Springsteen è tornato. Ultima - mente il Boss del New Jersey si riaffaccia sui mercati molto spesso, perfin troppo, secondo molti. Non è chiaro che cosa sottintenda questa urgenza, certo è che quando i tempi sono stretti, le nuove idee non han modo di sedimentarsi e maturare, e dunque raramente il risultato è all’altezza delle […]
21 Maggio 2009
Springsteen è tornato. Ultima - mente il Boss del New Jersey si riaffaccia sui mercati molto spesso, perfin troppo, secondo molti. Non è chiaro che cosa sottintenda questa urgenza, certo è che quando i tempi sono stretti, le nuove idee non han modo di sedimentarsi e maturare, e dunque raramente il risultato è all’altezza delle aspettative; soprattutto con artisti come il nostro, che hanno abituato il proprio pubblico a prodotti sempre di primissima qualità. Intendiamoci: Working on a dream non è un brutto album (uno del suo talento riesce sempre a rendersi interessante anche quando viaggia a scartamento ridotto), ma certamente non è all’altezza delle sue prove migliori. Innanzi tutto proprio perché ha le sembianze di un prodotto più che di un’opera d’arte o d’artigianato. Dentro, i fan ci han comunque trovato tutto il campionario espressivo di Bruce: il rock sudato dei primi album e le estroversioni del pop d’autore di Born in the Usa, il folk rigoroso di The Ghost of Tom Joad e il sapido rhythm’n’blues urbano dei suoi album migliori. Ma il tutto appare centrifugato senza troppa logica, nonostante qua e là risplendano canzoni di spessore. Epperò anche in questo album Springsteen riesce a cogliere gli umori dei suoi connazionali: aggrappati alle nuove promesse di Obama, ma sempre più timorosi di veder svaporare definitivamente gli american dreams della propria giovinezza. Così vien da pensare che l’ottimismo che trasuda da molti brani trovi la sua ragion d’essere più in uno sforzo di volontà che nella realtà dei fatti... E così ha da essere, probabilmente.