UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La nuova semina digitale

Sul "Portaparola" di Avvenire (18 ottobre 2016, pag. 26) una piccola raccolta di esperienze interessanti su come si possono coniugare evangelizzazione e nuovi media...
18 Ottobre 2016

Sempre più siti ad hoc per parrocchie, cerimonie in diretta, social network come Facebook e Twitter allargano l’orizzonte della comunicazione della Chiesa. Negli ultimi anni le innovazioni sono cresciute a dismisura grazie alla diffusione degli smartphone. Uno strumento facile e diretto sono le app, le applicazioni gratuite, che possono avvicinare i fedeli all'interazione con la parrocchia di riferimento attraverso l’aggiornamento di programmi pastorali, l’inserimento di audio con meditazioni e la comunicazione diretta con i parrocchiani. Ce lo racconta don Francesco Scalmati, parroco della Sacra Famiglia di Osimo in Ancona, presidente nazionale della Faci (Federazione delle associazioni del clero italiano), 'missionario della Misericordia' nell'anno del Giubileo: «Tre anni fa, dopo un esperimento analogo iniziato nel 2010, abbiamo realizzato la nostra app che prende il nome dalla parrocchia. L’idea era comunicare con tutte le persone del nostro Comune o dei paesini limitrofi. Ogni settimana aggiorniamo l’app inserendo una meditazione sul Vangelo. Ci siamo accorti che questo strumento è consultato e arriva a molte più persone rispetto al bollettino parrocchiale, soprattutto alla popolazione che non frequenta abitualmente la comunità. È utilizzata da una fascia di età molto varia: non è quindi adatta solo alla generazione giovane ma credo che vada bene per chi vuole mettersi in gioco. L’importante è trovare nuovi modi per seminare la Parola di Dio. Può essere usata come strumento veloce per necessità personali e per trovare soluzioni con rapidità».

Un punto di condivisione e di incontro personale con la Parola di Dio è l’idea che dà vita alla app della parrocchia Santissima Annunziata di Sturla a Genova: «Quando papa Francesco ha fatto consegnare in piazza San Pietro il Vangelo abbiamo pensato a come la nostra parrocchia potesse seguire il suo esempio aiutando le persone a portare il Vangelo in tasca. E abbiamo dato vita alla nostra app che presenta varie voci, come il testo del Vangelo quotidiano e un video-commento alle letture della domenica.

Si trova anche una finestra dove l’utente può inserire la sua richiesta per una preghiera. Questo canale è stato così tanto sfruttato che abbiamo deciso di metterlo in primo piano. Credo che per una parrocchia la app rappresenti uno strumento utile perché le persone possono ricorrervi sui mezzi pubblici, come avviene nella nostra città, anche per pregare e non solo per essere informati. Per i più giovani però la app non è la prima necessità perché dal loro punto di vista rappresenta un canale di incontro molto limitato: preferiscono altre vie di comunicazione come WhatsApp per conoscere la Parola e organizzare incontri e riunioni: attraverso i gruppi questo strumento sta diventando un canale utilizzato dai giovanissimi dove è possibile scambiarsi idee e informazioni e dove i giovani riescono a parlare di più».

Un potenziale da valorizzare, sul quale la Chiesa italiana è stata profetica. Ne è convinto il teologo Giuseppe Lorizio, tra i pionieri dell’uso delle tecnologie digitali in ambito ecclesiale: «Già il direttorio Cei Comunicazione e Missione pubblicato nel 2004 partiva dall'idea di creare cultura nella nostra società mediatica. La rete, infatti, non è solo puramente funzionale a messaggi informativi ma sta diventando il nostro areopago, un luogo da abitare nella maniera più autentica possibile alla ricerca dei valori da trasmettere. Il linguaggio della fede non è però solo informativo ma performativo: il rapporto con la Parola nasce dall'ascolto come dall'incontro personale. Ad esempio, non si può celebrare un sacramento in rete. L’utente deve abbandonare il nickname, il nome fittizio, perché il social network possa diventare occasione di incontro tra persone, e non con maschere».

(Emanuela Genovese)

da Avvenire del 18 ottobre 2016, pag. 26