UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

#LiberamenteSchiavi?

Mercoledì 29 marzo a Napoli i ragazzi della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale riflettono sulla dipendenza dai social media.
29 Marzo 2017

Duemilaseicento in una giornata. In media, s’intende. Ma il numero di volte in cui ciascuno di noi tocca lo schermo di uno smartphone per chattare, navigare, telefonare, messaggiare, giocare, consultare l’email, scattare e guardare foto, condividere ogni genere di pensiero esperienza immagine idea è davvero abnorme, appena qualcuno si decide a contare quanto spesso succede nelle 24 ore. I dati di questa recente indagine scientifica non fanno che confermare quel che lo psichiatra Tonino Cantelmi ripete a chiunque gli chieda di tendenze comportamentali e attitudini cognitive indotte dalla tecnologia digitale, ovvero che «stiamo viaggiando verso una colossale dipendenza dalla connessione». E se questo fenomeno si fa eclatante nei «mobile born, i ragazzi che sono nati con i cellulari interattivi in mano», la faccenda si fa «impressionante nella fascia dei 30-50enni affascinati dalle tecnologie della comunicazione al punto da esserne emotivamente travolti». Di quella che Cantelmi definisce «la più grande crisi della relazione interpersonale mai sperimentata» sentiranno parlare mercoledì 29 marzo a Napoli i ragazzi della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (aula magna della sezione San Tommaso), protagonisti di una peculiare esperienza di cultura e impegno che li vede organizzare annualmente una giornata di riflessione su grandi temi imposti alla coscienza della gente e della Chiesa. Quest’anno hanno chiesto lumi a competenze psicologiche e teologiche per far luce su una delle domande chiave per l’educazione (e la pastorale): le comunicazioni via smartphone e social network ci rendono più liberi, o configurano una nuova forma di servitù, per di più volontaria? Sotto il provocatorio titolo «#LiberamenteSchiavi?» studenti e seminaristi di Napoli – che hanno aperto l’invito a loro colleghi di altre istituzioni e diocesi, amplificando l’evento sulle reti sociali, manco a dirlo – si sentiranno citare da Cantelmi inesorabili dati di ricerche, come quella dalla quale emerge come «in dieci anni abbiamo perso il 30% delle nostre relazioni reali: gli 'amici' online sono proliferati decimando quelli veri. Siamo più connessi con gli altri e più soli», un paradosso che negli adolescenti (altra ricerca, italiana) diventa «percezione della solitudine più elevata come effetto della delusione di aspettative riposte nella relazione per via tecnologica». Ma è tempo perso cercare un riferimento in genitori che lo psichiatra definisce «'adultescenti', una via di mezzo tra adulti e ragazzi irrisolti. E allora, non resta che sperare negli «ultimi cervelli analogici, prima che si estinguano», perché trasmettano quella «passione per le relazioni non mediate che restano comunque un nostro bisogno irriducibile».

Il risvolto morale della questione, solitamente ignorato, è invece cruciale per capire cosa succede nella coscienza di chi fa (ab)uso di WhatsApp, Facebook e soci(al): «L’ambiente digitale non è uno strumento che 'dipende dall'uso che se ne fa', la categoria della neutralità è del tutto fuorviante – premette don Giovanni Del Missier, teologo moralista, anch’egli atteso oggi a Napoli –: siamo al cospetto di un mondo da abitare, come persone e in quanto cristiani, e prima ancora da esplorare. Abbiamo già una cartografia sommaria che ci permette di frequentarlo ma la verità è che non lo padroneggiamo affatto, ci attende ancora un lungo lavoro di affinamento delle mappe che ci consentano di vivere al suo interno restando noi stessi». La libertà di scelta, e dunque le categorie che consentono di preferire un competenti' portamento a un altro, sono le stesse che vigono nel mondo reale, del quale il «continente digitale» – come lo definì papa Benedetto – è ormai parte integrante. Senza questo concetto chiaro «diventa impossibile capire la dimensione della responsabilità, così spesso oscurata nell'agire in rete, come se ciò che si fa o si dice al suo interno fosse privo di conseguenze per qualche magico effetto degli schermi di computer, tablet e smartphone». È invece proprio questa la convinzione – erronea – alla base dei 'discorsi d’odio', degli atti di cyberbullismo, delle campagne aggressive in rete: quasi il Web fosse un irreale porto franco della coscienza nel quale tutto è lecito, con l’ambiente digitale sospeso in un immaginario vuoto etico. Per questo, aggiunge il teologo, «serve una formazione specifica delle coscienze al discernimento che coinvolge soggetti, identità, valori, sentimenti, relazioni: a ben vedere, è una grande chance perché gli adulti a ogni livello riprendano in mano le redini educative anziché chiamarsi fuori, convinti di essere 'poco competenti». Un’analisi che mette fuori gioco pessimismi e tentazioni di resa davanti a ragazzi immersi nei loro mondi digitali (e anche di fronte a se stessi, quando ci si scopre assoggettati alla dittatura della notifica). Infatti «è sufficiente far capire che la tecnologia tradisce la sua promessa di liberare la nostra vita da ogni genere di limite – spiega un altro relatore al convegno napoletano, il pastoralista don Tonino Lasconi –. Va affrontata insieme a chi non pare esserne più cosciente la difficoltà a costruire un pensiero proprio senza credere a tutto quello che si legge in rete, che oscilla tra informazioni e giudizi opposti, con lo scivolamento della conoscenza verso un radicale relativismo: tutti hanno ragione, nulla è più vero». Qui l’esperienza cristiana va del tutto controcorrente (è forse una novità, peraltro?): «Che spazio può trovare l’esperienza di Dio in questo scenario fluttuante – si chiede Lasconi –? Se Egli è 'in cielo, in terra e in ogni luogo' allora è anche 'là dentro'. Il Vangelo qui fa la differenza perché diventa un esercizio di ragionamento che non fa 'sentire liberi' ma libera davvero la vita, riporta al senso della realtà, restituisce la percezione di essere protagonisti della propria vita senza limitarsi all'illusione di esserlo perché ti permettono di aggiungere un like o postare un commento». Se è chiaro il quadro, lo sono assai meno le sfide da fronteggiare senza disperdere le energie dietro falsi bersagli (come l’idealizzata soluzione tramite un ben congegnato sistema di permessi e divieti, o codici di autodisciplina: che aiutano, ma non risolvono): «Il problema oggi non è trovare tutte le risposte ma riconoscere quelle giuste – è la riflessione di padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, al quale oggi a Napoli spetta di tirare le somme –. Al tempo dei motori di ricerca le risposte sono a portata di mano, stanno dovunque. Tutti danno risposte, ma oggi è importante riconoscere le domande che contano, e così fare in modo che la nostra vita resti aperta, che Dio ci possa ancora parlare. L’annuncio cristiano – prosegue il gesuita, studioso di comunicazione e nuovi media – corre il rischio di presentare un messaggio accanto agli altri, una risposta tra le tante». E allora «più che presentare il Vangelo come il libro che contiene tutte le risposte bisogna proporlo come il libro che contiene tutte le domande giuste, per imparare a riconoscere tra le tante risposte che riceviamo quali sono le domande fondamentali. È un lavoro complesso, che richiede sensibilità spirituale». Ma è l’orizzonte che fa 'uscire' la Chiesa verso l’uomo digitale, facendola «coinvolgere con le domande degli uomini». Quelle per le quali non c’è Google che tenga.

(Francesco Ognibene)