Lo stagionato John Bon Jovi non si è mai tolto di dosso l’etichetta di “Springsteen dei poveri”, anche se il suo conto in banca gli garantisce da tempo di guardare al futuro con paciosa tranquillità.
Del Boss non ha il carisma inarrivabile, ma ha la stessa passione umanista e le stesse radici (sangue italiano trapiantato in New Jersey: origini campane per Bruce, siciliane per lui), e anche lo stile – rock d’autore tutto sudore, passione ed energia – lo accomuna allo Springsteen più ruspante.
In questo 2020, quindicesimo album firmato dalla band che porta il suo nome e di cui è leader da sempre, lo troviamo alle prese con 13 nuovi brani in oscillante equilibrio tra pop e folk-rock, sostenuti da chitarre al vento e ritmiche sanguigne: ballads energetiche, perfette per venir consumate in lunghi viaggi autostradali, ma anche per venir cantate a squarciagola nei concerti o per riempire l’etere radiofonico, almeno quello riconducibile a un’ortodossia rockettara ormai sempre meno à la page, se non fra i nostalgici. Tutto ben ispirato e confezionato, oltreché di gradevole ascolto.
John e soci non sono sempliciotti, hanno una sensibilità e una coscienza sociale sempre spiccata, più che mai riscontrabile oggi tra queste nuove canzoni che raccontano le inquietudini e i problemi di questo presente, segnato dal dramma pandemico, e per gli statunitensi, dalle tensioni razziali e le imminenti elezioni presidenziali. Ma John è un buonista fiducioso che il futuro sia comunque migliore di qualunque passato, e con queste sue nuove canzoni vorrebbe, a modo suo, contribuire alla costruzione.
Franz Coriasco