Dopo cinque anni di silenzio torna la band iconica del pop degli anni Ottanta: un gruppo capace di vendere cento milioni di dischi e di far innamorare un’intera generazione di ragazzine. Simon Le Bon e soci han dunque deciso di ridiscendere in campo: un po’ per l’insopprimibile bisogno di molte popstar di ritrovare le botte adrenaliniche e i rutilanti tourbillon della vita pubblica, un po’ per la voglia di rimettersi in gioco e – come cantava il buon Jannacci - “per vedere l’effetto che fa”.
Al di là dell’orrida copertina, il disco funziona e risulta qualcosa di più che un banale riciclaggio dei cliché che regalarono loro fama planetaria. Diciamo che restano ovviamente i Duran di sempre, ma con una stagionatura che, a conti fatti, consente al loro pop danzereccio nuove sfumature; merito certo anche dei ragguardevoli ospiti di contorno – stelle del calibro di Jack Frusciante, Nile Rodgers e Mark Ronson – ma anche della voglia del quartetto di lasciarsi guidare più dalla passione che dalle strategie.
Paper Gods saprà regalare brividi di nostalgia alle fans di un tempo, ma non è detto che basti a guadagnarne di nuove. I primi dati sono comunque più che incoraggianti: nella prima settimana di vendita l’album s’è arrampicato fin sul secondo gradino della classifiche; vedremo se e quanto durerà. Certo fa una certa impressione/soddisfazione vedere i quattro compari sulle foto promozionali, a scimmiottare le pose degli anni belli: ché il tempo passa per tutti, mica solo per i comuni mortali come noi… Ciò detto, il disco è indubbiamente piacevole, ben strutturato, e tutto sommato risulta assai meno pretestuoso di quel che si potrebbe immaginare prima d’ascoltarlo. (Franz Coriasco)