UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La vibrante forza delle parole pronunciate

Avvenire anticipa alcuni stralci di una riflessione del gesuita americano Walter Ong (1912-2003), antropologo e allievo del sociologo Marshall McLuhan, che uscirà nel prossimo numero della rivista “Lettera Internazionale”, e che venne pubblicato da Ong nel 1972 sul “Saint Louis University Magazine”.

 
10 Aprile 2012
Cominciamo da una verità basilare sulle parole. Le parole sono suoni. In senso stretto, non sono affatto 'segni'. 'Segno' suggerisce 'alla radice' qualcosa che si apprende attraverso la vista, dato che deriva dal latino si­gnum che indicava lo stendar­do portato dalle unità militari romane affinché fossero iden­tificate a colpo d’occhio. La pa­rola non è questo. Le parole ve­re non possono essere viste.
Possono solo essere udite. Se sono in qualche modo un 'se­gno', sono al tempo stesso qualcosa di fondamentalmente diverso. Se da un lato è vero che le parole sono necessarie per dire il significato dei segni, dall’altro non è così vero che i segni siano necessari per dire il significato delle parole. Possia­mo disegnare un suono? Pos­siamo fare un disegno per e­sprimere il senso di ogni singo­la parola in questo paragrafo?
Ogni lingua umana si basa sul suono. Il pensiero umano è le­gato al mondo sonoro più che a ogni altro campo sensoriale. Persino le persone congenita­mente sorde imparano a pen­sare e a parlare entrando indi­rettamente nel mondo delle parole che risuonano intorno a loro, un mondo creato da per­sone che parlano e che sento­no. Raccogliamo le parole dalla pagina scritta o stampata at­traverso la vista, ma lo faccia­mo riconvertendole in suoni, oralmente o con la nostra im­maginazione. Le parole scritte e stampate sono parole solo in quanto noi sosteniamo che lo siano. In realtà, non sono altro che tracce che forniamo affin­ché ci suggeriscano suoni. Non sono affatto parole vere.
Questo non significa che la scrittura e la stampa non siano di grande im­portanza. Danno alle parole un potenziale nuovo e meraviglioso. Senza di esse la civiltà non può avanzare. Que­sto è vero più che mai nella nostra era elettro­nica, in cui scrittura e stampa non solo ci cir­condano, ma cambiano ruolo entrando in relazioni complesse con altre modalità di comunicazione. Senza la scrittura e la stampa, ciò che si trova su questa pagina potreb­be raggiungere pochissime persone. Tuttavia, la scrittura e la stampa rimangono fenome­ni verbali secondari. Resta da studiare in maniera ben più approfondita perché il nostro pensiero si leghi in modo tanto immediato e intimo al mondo del suono. I poemi omerici, che vengono da una cultura priva di scrittura, cantano di 'parole alate'. Le parole vola­no via. Questo non significa semplicemente che se ne van­no. Vuol dire anche che sono forti. Il volo richiede un’ener­gia straordinaria. E le 'parole alate', quelle pronunciate, quelle reali, segnalano un’azio­ne piena di forza. Diversamen­te dagli altri campi sensoriali, il suono segnala sempre l’uso presente della forza. Le perso­ne provenienti da culture orali, come ancora esistono nelle re­gioni non tecnologiche del pia­neta, sanno bene che le parole hanno forza perché, quando pensano alle parole, di solito pensano a quelle reali, pro­nunciate. Lunghezze d’onda, diagrammi e impronte vocali sono, per la realtà del suono, solo analoghi visivi, anche se straordinariamente validi. Gra­zie a essi riusciamo a capire at­traverso la vista che cosa è il suono. Ma solo questo: il suo­no non è quello che si può rap­presentare. Il suono non può essere ridotto interamente a nessun altro campo sensoriale. Non c’è niente come il suono e non c’è niente neanche come le parole. Non esiste un modo per raffigurare pienamente la comunicazione verbale. Siamo così abituati ad associare le pa­role con la scrittura e con la stampa che il senso di molte affermazioni profonde può sfuggirci o arrivarci in modo debole. Quando il Vangelo se­condo Giovanni inizia con «Nel principio era la Parola, la Paro­la era con Dio, e la Parola era Dio», l’evangelista, anche se stava scrivendo, certamente non aveva in mente la parola scritta, e men che meno quella stampata. Pensava alla parola umana come a un analogo del divino, ma anche alla parola u­mana così come arriva a noi in quanto suono vivo, vibrante, pieno di forza. Ma se la parola 'parlata' dell’uomo evoca la Parola di Dio, al tempo stesso differisce profondamente da essa perché è evanescente. La parola dell’uomo è potente, ma è anche peritura, mentre «la Parola del Signore rimane in eterno». Tuttavia, la parola di Dio nella sua permanenza non è come la nostra scrittura, quanto piuttosto come il no­stro silenzio da cui le parole e­mergono e che rimane. Poiché la comunità dipende forte­mente dal linguaggio, alcune delle divisioni più profonde nell’umanità oggi esistono per il fatto che diversi gruppi par­lano lingue diverse. In molti paesi in via di sviluppo questo problema è enorme. I nigeria­ni, ad esempio, parlano molte lingue – non solo diversi dialet­ti, ma lingue differenti quanto l’inglese e il russo. Nessuno in questo grande paese – 56 mi­lioni di abitanti – può parlare con tutti i suoi compatrioti a meno che non usi una lingua straniera per sé, per gli altri o per entrambi. La Cina e innu­merevoli altri paesi hanno pro­blemi analoghi. Non importa quanto poco sia parlata: ogni lingua è un tesoro in se stessa, ma la nostra moltitudine di lin­gue crea grandi problemi. Ge­neralmente, le lingue più ric­che e più sensibili sono quelle che si sono 'imbastardite' e 'corrotte' con molti prestiti. Si è detto che poiché tutti si e­sprimono con le parole, tutti pensano di poterne parlare. La verità è che è molto difficile parlare delle parole e costruire significato. Spero che queste brevi considerazioni servano se non altro a dare un’idea del mistero delle parole, della loro ricchezza e della loro comples­sa relazione con la vita umana.
di Walter Ong
( Traduzione di Sarah De Sanctis)
 
 
Walter Ong (1912-2003), gesuita americano, antropologo e allievo del sociologo Marshall McLuhan, ha insegnato alla Saint Louis University, dedicando molti dei suoi studi alla storia delle culture e dei processi comunicativi. Le sue opere sono state tradotte in numerose lingue, anche in italiano: si ricordano, tra le altre, «Oralità e scrittura» (il Mulino, 1986), «Conversazione sul linguaggio» (Armando, 1993) e «Il sacro oltre lo scandalo. Hopkins, il sé e Dio» (Medusa, 2010). Il saggio di cui qui vengono anticipati alcuni stralci esce sul prossimo numero della rivista “Lettera Internazionale”, e venne pubblicato da Ong nel 1972 sul “Saint Louis University Magazine”.