UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Media cattolici,
gioco di squadra

Si è chiuso a Matelica il Convegno nazionale della Federazione dei settimanali cattolici italiani. L’educazione alla vittoria e alla sconfitta sui campi di gioco – comunque da perseguire nel rispetto delle regole – al centro dell’ultima giornata dei lavori, chiusi dal Vice Direttore dell'Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, don Ivan Maffeis
7 Maggio 2012
Darsi allo sport, faticare, allenarsi... per imparare (anche) a non vincere. Per­ché pure le sconfitte sono una meda­glia da portare sul petto, e al momento giusto ci serviranno molto più di un podio. A garan­tirlo sabato 5 maggio nel Teatro Piermarini di Matelica e­rano pezzi da novanta che di podii ne hanno calcati tanti, eppure dello sport parlano non come di un trampolino per successo e ric­chezza, ma come di una «Pa­lestra di vita», com’era intito­lata l’ultima giornata del Con­vegno nazionale dei Settima­nali cattolici italiani.
«A 17 anni ero nuotatore e pentatleta fortissimo. Mi con­vocarono al primo grande e­vento internazionale in Au­stria, quando un incidente a cavallo mi legò definitivamen­te a questa carrozzina...». Lu­ca Pancalli, vice presidente del Coni e presidente del Cip (Co­mitato italiano paralimpico), la sconfitta l’ha conosciuta presto e nel modo più crude­le, ma non la rinnega: è l’e­sempio vivente che non im­porta quante volte si cade nel­la vita, quel che conta è quan­te volte ci si rialza, e lui ha con­tinuato a gareggiare, portan­dosi a casa dai Giochi para­limpici 8 ori, 6 argenti e 1 bronzo.
«Grazie a questo convegno – ha detto – pos­siamo riflettere sulla vera dimensione sporti­va, che invece in Italia è relegata a un agoni­smo esasperato. Lo sport non serve soltanto a trionfare ma a crescere, non siamo tutti co­stretti a essere forti e perfetti, e il vinto non è un fallito». Il valore della sconfitta gli atleti di­sabili lo imparano sulla propria pelle, ad e­sempio quando un cavallo ti disarciona e spez­za il midollo che ti teneva in piedi: «In un so­lo secondo tutta la tua prospettiva cambia». Proprio lo sport, dunque, rese tetraplegico Pancalli nel lontano 1981, eppure lui ne testi­monia il ruolo di «straordinario riabilitatore sociale», sebbene in Italia, in fondo, non ci si creda affatto: «Al di là delle passerelle dei po­litici sul carro dei vincitori durante le grandi spedizioni azzurre, non ho mai visto dare di­gnità all’educazione fisica nelle scuole, come invece all’estero, né concedere sgravi fiscali alle famiglie che avviano i figli a una discipli­na ». Eppure che sia «una scuola di democra­zia e di diritto è evidente». E proprio dal «diritto», ovvero dal rispetto del­le norme, senza le quali non c’è gioco (sul cam­po così come nella vita), è partito Marco Tar­quinio, direttore di «Avvenire», ricordando che la vera sovversione in fondo è stare alle rego­le, «altrimenti c’è solo la legge del più forte, del più rapido a cogliere l’occasione, ad accu­mulare disonestamente più ricchezze o più potere. Perché si può vincere anche molto male». Come si può perdere molto bene. Uno sport così in­teso rovescia gli stereotipi: «È il luogo del misurarsi, non co­me verbo autoreferenziale – ha detto Tarquinio – bensì re­lazionale; mi misuro solo con­frontandomi. È il luogo del passare, non come andare ol­tre ma come passare il testi­mone dentro un progetto co­mune. Il luogo del concorrere: non la spietata concorrenza per sopravanzare, bensì il cor­rere insieme. E dell’assistere, non nell’accezione pietistica, ma di fare un assist perché un altro vada in porta per tutta la squadra». La sfida per i media – «Avvenire» e i 189 settimanali cattolici della Fisc in testa – è allora raccontare volti e segni, storie di vita vera, «e non trasformare in eroi figure che vin­cono ma alle regole non stanno», cattivi e­sempi che osannare è atto colpevole e ingan­no nei confronti della società. «È vero, noi dobbiamo dare l’esempio più di altri», ha confermato Lorenzo Minotti, diri­gente sportivo del Cesena, ex calciatore del­la nazionale, 201 presenze in serie A e nel suo carnet un gol che nel 1993 a Wembley gli per­mise di alzare al cielo la Coppa delle coppe. «Da Dio ho ricevuto il grande dono che la mia passione di bambino è diventata davve­ro il mio mestiere. Dall’esordio nel Cesena, in soli 4 anni mi sono trovato ricco e famo­so, e ho sempre sentito il bisogno di restitui­re parte della mia fortuna. Ne ho avuto la possibilità quando mi hanno chiesto di di­ventare testimonial dell’Admo per donare il midollo: è stato questo l’allenamento più im­portante, perché quando la vita prima o poi presenterà anche a noi i suoi conti dolorosi, ci troverà più pronti».
Il triplice fischio finale è toccato a don Ivan Maffeis, vice direttore dell’Ufficio nazionale Comunicazioni sociali della Cei, cha ha sot­tolineato il gioco di squadra condotto oggi in Italia «dai settimanali diocesani che ogni set­timana raggiungono milioni di lettori, ad Av­venire, Tv2000 e Radio InBlu, il Sir e l’Ucsi. So­no loro la maestranza qualificata capace di valorizzare talenti, formare persone motiva­te, preparare leader che puntino al bene co­mune ».