UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Compredere l'uomo 2.0…

Con “i new media dobbiamo imparare a decodificare le esigenze che si elevano dal cuore dell’uomo 2.0”. Lo ha detto don Giacomo Ruggeri, esperto di catechesi e media, intervenendo ieri sera all’ultima diretta web del modulo primaverile del laboratorio online “animatori cultura e comunicazione” del Copercom, sul tema “Media e minori: cosa cambia nell’educare alla fede?”
31 Maggio 2012

Con “i new media dobbiamo imparare a decodificare le esigenze che si elevano dal cuore dell’uomo 2.0”. Lo ha detto don Giacomo Ruggeri (nella foto), esperto di catechesi e media, intervenendo ieri sera all’ultima diretta web del modulo primaverile del laboratorio online “animatori cultura e comunicazione” del Copercom, sul tema “Media e minori: cosa cambia nell’educare alla fede?”. “Oggi – ha osservato – si cerca Dio sulle nuove piattaforme. Cambia anche il linguaggio. Spesso si sente dire ‘Ho incontrato Dio nella Rete’. Magari in un link inviato da un amico. Ma il web non va in profondità. Così nella ricerca di assoluto si rimane in superficie”.

Secondo don Ruggeri “la preghiera in Second Life è difficile, perché c’è bisogno di uno spazio e di una comunità”. In questo mondo virtuale il rischio è che “la preghiera diventi ciò che noi vogliamo che Dio dica”. Gli stessi sacramenti, “con i loro riti e gesti, hanno bisogno di una comunità. Non possiamo sostituire la persona con un monitor”. Insomma “nella Rete non avranno mai una loro validità”.

Il sacerdote ha sottolineato che i bambini e gli adolescenti passano molto tempo in Internet, quando poi “vanno a catechismo e a messa si trovano dentro un linguaggio diverso”. Facile allora l’incomprensione. Di qui la necessità di “formare nuovi catechisti”. “La Bibbia, i sacramenti e la liturgia hanno dei codici ben precisi: profondità, narrazione…”. I social network, invece, “stanno immettendo nuovi linguaggi”. Alla base, però, “c’è la trasmissione dei contenuti. Siamo nell’era del toccare e del vedere – ha spiegato –. In passato le informazioni e i contenuti venivano trasmessi oralmente. Il secondo aspetto, criticato, è che il catechismo segue un modello scolastico”. La catechesi va “ripensata”. Occorre che sia “molto più partecipativa e dialogica. I ragazzi non devono subire i contenuti ma elaborarli”.

Come può, allora, un educatore recuperare un dialogo e con quali competenze? Innanzitutto, ha affermato don Ruggeri, “non dobbiamo terrorizzare i catechisti. Bisogna essere prudenti. Gli uffici pastorali delle diocesi devono interagire tra di loro”, promuovendo “corsi per spiegare le nuove tecnologie”. Solo così è possibile formare i catechisti del domani. In secondo luogo “serve più collaborazione nelle parrocchie tra le generazioni”. Il dialogo corre anche sul web. Ma “un sacerdote non può essere amicone di un ragazzo”. Così come un genitore. Nel primo caso deve essere “padre”. Nel secondo “madre”.
 
Don Ruggeri ha ricordato, inoltre, che in Italia “diverse persone stanno riflettendo sulla pastorale digitale. Si va formando, ma ancora non esiste”. Un educatore deve stare nella Rete “in modo professionale, intelligente e in forma partecipativa”. L’importante è che “la pastorale digitale sia aderente alla vita”.
 
I social network sono “una ricchezza, ma nella formazione al sacerdozio serve il giusto approccio”. Una ricerca Weca (Webmaster cattolici italiani), tuttora in corso, su “I consacrati nei social network: presenza e usi”, rileva che “il 59% dei seminaristi del Sud Italia e il 20% dei sacerdoti hanno un profilo su Facebook”. Ora “la testimonianza cristiana richiede verità”. Significa che chi ha un profilo su un social network deve mettere “al primo posto Cristo e non se stesso”.
 
Per don Ruggeri “i new media stanno cambiando in modo antropologico il modo di pensare e di parlare. Dobbiamo capirla questa nuova grammatica. Altrimenti gli adulti li perdiamo”. I loro figli hanno “un linguaggio differente”. Occorre, quindi, “un sostegno, un aiuto, per i genitori, che non li faccia sentire diversi”. Che consenta una maggiore comprensione.
 
“La fede è una cosa seria (non seriosa). I nuovi media stanno amplificando il bisogno di spiritualità. Ma è facile cadere nelle banalizzazioni. Dalla Rete dobbiamo favorire l’incontro e la condivisione dei ragazzi con i poveri e gli emarginati. Farli partecipi della solidarietà. Non dobbiamo dimenticare – ha concluso – che il web ha sempre bisogno di una realtà concreta da cui farsi alimentare”.