UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Passione per la verità,
attenzione all'uomo

Assegnato a Luigi Geninazzi il premio "Angelo Narducci", momento centrale della 37ª festa di Avvenire a Lerici (SP). Da Giovanni Paolo II a madre Teresa di Calcutta, da Walesa a piazza Tahrir, una vita tra i protagonisti e nei luoghi della storia. Da Avvenire del 27 luglio, il racconto di Lucia Bellaspiga.
27 Luglio 2012
Passeggiare a braccetto chiacchierando con Luigi Geninazzi è un po’ come passeggiare nella storia. Perché lui - inviato speciale di Avvenire da un quar­to di secolo - a braccetto (o quasi) ha passeggiato con i «grandi», quelli di cui già parlano i libri di scuola. Si è tro­vato faccia a faccia con i protagonisti nel bene e nel ma­le di rivoluzioni e dittature, di guerre e paci, di muri che venivano eretti e di altri che finalmente crollavano. Lui c’era sempre, nei luoghi giusti e nell’i­stante in cui la sto­ria, quella con la es­se maiuscola, acca­deva. Per questo a Lerici, nella serata clou della 37ª Festa di Avvenire, sulla Ro­tonda in riva al ma­re ha ricevuto il pre­stigioso Premio gior­nalistico Angelo Narducci, dedicato allo storico direttore del nostro quotidia­no. E, intervistato da Rosario Carello, conduttore del programma di RaiUno «A Sua immagine», ha preso lui a braccetto la gente di Lerici per condurla con sé a in­contrare un papa Wojtyla «amabile e gentilissimo, che nel 1983 per tre giorni a Castel Gandolfo ha dialogato con me in giardino, chiedendomi - lui a me, capite? - che co­sa ne pensassi della situazione polacca. Io ero un no­vellino, il più modesto dei giornalisti, e il Papa voleva co­noscere la mia opinione. Non aspettava che lo si an­dasse a cercare, era lui a venirti incontro». O un Lech Wa­lesa che, sempre negli anni Ottanta, dopo i giorni glo­riosi di Solidarnosc «era tornato a fare l’operaio ai can­tieri di Danzica. L’ho aspettato fuori dai cancelli, è usci­to con gli altri operai, con la tuta da elettricista. È que­sta la gente che fa le vere rivoluzioni». O un Havel an­cora dissidente nella Cecoslovacchia comunista, «sor­vegliato dai poliziotti in una baita. Mi ha visto lui ed è riuscito a uscire per l’intervista. L’ho rivisto poi nel 1990 quando, caduto il regime, era diventato presidente del­la Repubblica. Un non credente che mi diceva: io non so cos’è un miracolo, ma capisco che ciò che ora sta av­venendo lo è». O ancora una madre Teresa di Calcutta («Con lei e con papa Wojtyla ho conosciuto una santa e un bea­to »), che Geninazzi ha incontra­to in Albania il giorno della ca­duta del dittatore Enver Hoxha: «Seppi che era arrivata e cercai di intervistarla, ma una suora mi rispose che era assolutamente impossibile per chiunque. In quel momento lei uscì, mi strin­se forte una mano e si sedette di fronte a me dicendo, 'parliamo pure'. Vedeva lontano, già ave­va in mente un mondo che si a­priva al futuro e un grande spa­zio per la Chiesa... Lì ho toccato la santità». E via così, dimo­strando che «fare l’inviato spe­ciale è il più bel mestiere del mondo», e lui lo ha fatto per dav­vero. Ha visto da dentro tutte le guerre dei nostri tempi, dalle rivoluzioni dell’Est Euro­pa negli anni ’80 alla Jugoslavia, dall’Afganistan dopo l’11 Settembre all’Intifada del 2002, dal conflitto iracheno nel 2003 a quello nel Libano del 2006, fino alla Prima­vera Araba dell’anno scorso... Il tutto con l’occhio di chi sa «leggere» i fatti: «Il 25 gennaio 2011 nella Piazza Tah­rir ho visto qualcosa cui non avevo mai assistito in un Paese arabo, e cioè milioni di giovani scesi in strada non per gridare slogan contro l’Occidente, non per bruciare bandiere degli Usa o di Israele, ma per chiedere libertà e verità ai loro stessi politici. Vo­levano rovesciare il regime di Mubarak e si era­no riuniti su Facebook. Però perché una rivolu­zione riesca c’è bisogno di una natura etica, io chiedevo chi fosse il loro leader, dove fosse il lo­ro Walesa, ma non c’era. Infatti oggi quei ragaz­zi sono spariti e la loro piazza è stata presa dai Fratelli Musulmani...».
Un inviato davvero speciale, a volte, nella storia fa anche qualche incursione personale. Come quando, a pranzo con Arafat sotto l’occhio di un kalashnikov, Geninazzi ha introdotto il concet­to di perdono, l’unica strada - reciproca - per por­re fine a millenni di massacri tra israeliani e pa­lestinesi. «Si arrabbiò molto. Ormai, dopo tante esperienze, mi sono convinto che il perdono è so­lo cristiano, totalmente incomprensibile a tutte le altre realtà».
«Non è mai stato un temerario, ma quante volte ho tremato per lui...», ha raccontato il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, nel consegnargli il premio. «Gez, come lo chiamiamo al giornale, è l’immagine vera del giornalismo serio, un testi­mone che questo giornalismo è ancora possibi­le. Molte delle sue pagine resteranno nel tempo, documenti memorabili».
 
Lucia Bellaspiga