UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Assetati di Bellezza

Don Ivan Maffeis, presidente dell’Ente dello Spettacolo, analizza per Avvenire il fresco pre­mio Oscar a "La grande bellezza", di Paolo Sorrentino. «Il valore del film sta in questa capa­cità di Sorrentino di presentarci un’umanità decaduta con occhio di­sincantato; ma il Paese ha bisogno di gente migliore di quella nar­rata nel film...»
 
4 Marzo 2014

«Un film che racconta con grande capacità nel­le musiche, nei colori, anche in questi anti­chi palazzi, nelle terrazze spalancate sulla città, il lungotevere. Questo sarà stato stato uno dei motivi per cui gli americani sono ri­masti affascinati, Ma per noi italiani La gran­de bellezza vuol dire molto di più». Don Ivan Maffeis, presidente dell’Ente dello Spettacolo, analizza il fresco pre­mio Oscar a Sorrentino.

Don Maffeis, qual è il maggior pregio del film di Sorrentino?
«Noi dobbiamo a Sorrentino la profondità con cui ha rappresentato u­no spaccato dell’umanità che abita la città, anche se non ne esaurisce la totalità degli abitanti. Un’umanità che è sfatta, che si trascina in rap­porti banali e inconsistenti e di cui son parte, purtroppo, anche certe figure religione. Mi ha colpito il cardinale impersonato da Roberto Her­litzka, preoccupato più di dare lezioni di cucina che di accogliere la do­manda di senso, religiosa, che guarda a un orizzonte più grande, po­sta dal protagonista Toni Servillo. Il valore del film sta in questa capa­cità di Sorrentino di presentarci un’umanità decaduta con occhio di­sincantato».

Anche se non tutti gli italiani sono così...
«L’Italia è fatta dalla gente comune che non ha tempo né voglia di fare trenini, presa da tanti altri orizzonti, dagli affetti e dalla fatica di co­struirli, dai problemi di lavoro e dal problema di mantenerlo, dal con­fronto con la malattia. Nel film ci sono delle sequenze sulla malattia che ci appartiene e che riporta quell’umanità lì alla verità di ciò che siamo».

Un Oscar, quanto è importante per l’Italia?
«L’Oscar mostra che il Paese ha bisogno di gente migliore di quella nar­rata nel film. E le premesse ci sono: l’Italia ha risorse, non si esaurisce in quella umanità, ha creatività e in­gegno. Mi auguro che questo film diventi un appello alla politica. È chiaro a tutti: questa non è solo u­na crisi economica, culturale e spi­rituale. Il film la fotografa bene. La statuetta ci consegna, più che tan­ta gloria, tanta responsabilità».

Non è che però il film di Sorrenti­no può dare all’estero un’idea sba­gliata dell’Italia?
«All’estero coglieranno la bellezza del nostro Paese e della sua cultura. Certo, Benigni ne La vita è bella aveva raccontato il nostro periodo storico più drammatico con una carica positiva che contiene la risposta all’immagine deca­dente di Sorrentino. In lui ci sono cinismo e amarez­za, ma anche molta ricerca di senso. C’è la domanda sulla bellezza, tradita dalle promesse non mantenu­te ».

L’Academy premia però anche la nostra capacità di raccontarci.
«Le splendide immagini raccontano le risorse di un Paese che non può essere solo memoria. La città del­l’uomo non è semplicemente inquinamento e plastica, occorre tornare alle radici. E visto il crollo dei consumi cul­turali di cui soffre il nostro cinema, questo Oscar invita a mante­nere lo sguardo alto sulla cultura che passa anche attraverso i no­stri film. È un appello a investire in questo settore dell’industria culturale del Paese: anche su questa strada si costruisce bellezza».

L’Oscar farà bene al cinema italiano?
«Sono certo di sì. Proprio ieri ho incontrato Nicola Borrelli, diretto­re generale per il Cinema del ministero dei Beni e delle attività cul­turali e del Turismo. C’è una grande disponibilità di confronto per lavorare insieme sulla qualità artistica, sui contenuti, ma anche lo sforzo a favorire la distribuzione. La crisi ci obbliga un po’ di più a guardarci in faccia e a condividere un orizzonte comune».