UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

C'è in gioco la vera libertà di stampa

I 187 settimanali diocesani contano un milione di copie e cinque milioni di lettori. Il rischio è reale da quando si è deciso di sopprimere, con un tratto di penna, le tariffe postali agevolate per l’editoria, facendo male a un settore già in seria difficoltà, ferendo testate importanti e soprattutto ipotecando drammaticamente il futuro di quasi 200 testate locali che sono voce indipendente e talora scomoda delle diocesi italiane, da Bolzano a Noto.
20 Luglio 2010
 
C’è un modo semplice e devastante per mettere il bavaglio – vero e letale – alla stampa libera in Italia. È un sistema che non sta suscitando dibattiti nelle aule parlamentari e nelle piazze, né può essere contrastato a colpi di post–it. Arriva dritto alle radici e zac, taglia l’albero fino a renderlo instabile, pericolante e a farlo cadere. Non è un’ipotesi, è già realtà. Lo è da quasi quattro mesi. Da quando cioè si è deciso di sopprimere, con un tratto di penna, le tariffe postali agevolate per l’editoria, facendo male a un settore già in seria difficoltà, ferendo testate importanti (anche la nostra, non lo nascondiamo di certo) e soprattutto ipotecando drammaticamente il futuro di quasi 200 testate locali che sono voce indipendente e talora scomoda delle diocesi italiane, da Bolzano a Noto: le loro copie – come quelle di decine di altre pubblicazioni minacciate dallo stesso, sciagurato decreto interministeriale del 1° aprile – viaggiano perlopiù in abbonamento.
 
Lo fanno in molti casi da oltre un secolo, coprendo quasi tutta Italia con un reticolo d’informazione "del territorio" che parla ogni settimana a 5 milioni di lettori. E dunque chi è intervenuto non poteva ignorare l’effetto perverso che quell’azione superficiale e rozza avrebbe sortito su un bene sensibile, un diritto primario garantito dalla Costituzione, un’area di libertà e pluralismo autentico, vitale, che la Chiesa che è in Italia da sempre coltiva con spirito profetico, passione per il bene di tutti, coraggio esemplare.
Perché, allora, colpire questo punto così sensibile della nostra democrazia con la precisione di chi prende la mira? Una risposta ancora non l’abbiamo trovata, e ci stiamo convincendo che neppure esista. Una risposta ragionevole, intendiamo.
 
Perché aumentare fino a oltre il doppio l’esborso necessario per esercitare il basilare diritto-dovere di diffondere ogni settimana informazione in ogni angolo del Paese significa perseguire uno scopo tanto preciso quanto irragionevole: lo strangolamento lento, inesorabile, di voci serie e libere. Molte di queste presenze storiche, autonome, radicalmente alternative per valori, parole, idee dovranno infatti arrendersi ai costi eccessivi, e dopo aver ridimensionato tutto quello che è ridimensionabile saranno costrette ad alzare bandiera bianca. Non è forse questo il vero bavaglio imposto alla stampa italiana?
 
Non stiamo parlando di astrazioni, né gridiamo vanamente al lupo: qui si contano già le vittime, e nessuno pare curarsene. Dove siete colleghi giornalisti della grande stampa? Dove siete signori parlamentari di maggioranza e di opposizione? Dove siete signori del governo? Il colpo di maglio delle nuove tariffe postali – già pesantemente operative, lo ripetiamo, da quasi quattro mesi – è calato come una mannaia su piani editoriali e progetti, quasi sempre allestiti sulle fondamenta di campagne abbonamenti appena concluse in base a costi noti e consolidati.
 
Su conti che non tornano è impossibile costruire: non resta che contrarre ogni possibile spesa sperando che la struttura non ceda. Ma a volte non basta nemmeno ridurre la frequenza e il numero delle uscite, sospendere le pubblicazioni per l’estate, rinunciare a un quarto o alla metà della foliazione, fare a meno delle pagine a colori, domandare a redattori e collaboratori la disponibilità a tirare la cinghia su retribuzioni già ai minimi, accrescere a dismisura il "volontariato"... Tutto questo si sta già facendo, mentre si chiede ai lettori la comprensione per rinunce gravi e dolorose.
 
Ma quanto ancora potranno reggere testate che hanno resistito a guerre e repressioni, sfidato il fascismo e – prima e dopo la dittatura – anche aspre ostilità politiche locali? Testate che ora guardano negli occhi il relativismo che insidia le radici stesse della nostra società, ma che vengono costrette a sottostare a gabelle irragionevoli e punitive? Di quale diritto all’informazione parliamo se si spegne anche solo una di queste voci che per vivere non chiedono altro che di poter contare su servizi essenziali a costi equi?
 
Chi ha la responsabilità di riesaminare una decisione che già sta consumando effetti irreparabili non esiti oltre: ne va della libertà di stampa. Ma davvero.