UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

D'Alatri: “La TV ha inquinato i film”

Così il presidente del Meeting Rimini Film Festival: "Il problema è che c’è una grossa perdita di valori e di gusto da parte del pubblico, che pri­vilegia i prodotti superficiali e facili. Pur­troppo la tv è il comune denominatore che sta inquinando tutto il mondo dello spetta­colo."
23 Agosto 2010
«Sono stato al Meeting di Rimini u­na volta, per presentare I giardi­ni dell’Eden. È stato un incontro emozionante, quella sala toglieva respiro: non avevo mai visto tanti giovani insieme». Il regista Alessandro D’Alatri non vede l’ora di portare il cinema, appunto, ai giovani che affollano gli spettacoli del Meeting di Rimi­ni, che prendono il via stasera con il dram­ma da Camus Caligola e la luna con Stefano Pesce. Al regista tocca domani, come presi­dente della giuria, premiare i vincitori del Meeting Rimini Film Festival, quest’anno rea­lizzato in collaborazione con la School of Vi­sual Arts di New York, con il festival Karuze­la Cooltury di Swinoujscie in Polonia e con il Festival Encuentro di Madrid. D’Alatri, inol­tre, il 24 incontrerà i fan con il sound engineer, tre volte vincitore del premio Oscar Chri­stopher Newman.
D’Alatri, come sarà questo ritorno al Mee­ting?
«Mi tremano le gambe se penso che prendo il posto di Pupi Avati come presidente di giu­ria. Speriamo di essere all’altezza. Sarà una bella occasione di incontro e confronto, un modo per crescere, perché io mi sento anco­ra un adolescente».
Ancora un festival del cinema: può servire ai nuovi talenti?
«Questo è un festival giovane e sono certo che crescerà. I finalisti sono dei nuovi talen­ti che arrivano dai 5 continenti e il premio non sono né una statuetta né soldi, ma un corso di studi alla School of Visual Arts di New York. Iniziativa enco­miabile ed unica. Le opere sono a 360 gradi, arriva­no dalle più di­sparate esperien­ze, pubblicitarie, corti, video, docu­mentari. Si parla sempre della globalizzazio­ne in negativo, invece sono interessanti gli sguardi diversi su temi comuni».
Ad esempio, quali?
«Le opere selezionate dal Meeting hanno in comune uno sguardo sull’uomo, che è sem­pre più dimenticato, l’uomo è diventato un elemento collaterale alla globalizzazione del­la finanza, è sempre più assente. Personal­mente io ho sempre fatto, e sempre farò, quel­lo che mi da più gioia: indagare sui compor­tamenti e sui percorsi dell’essere umano».
Il cinema contemporaneo se ne occupa ab­bastanza, secondo lei?
«Il problema è che c’è una grossa perdita di valori e di gusto da parte del pubblico, che pri­vilegia i prodotti superficiali e facili. Pur­troppo la tv è il comune denominatore che sta inquinando tutto il mondo dello spetta­colo. Vedo dei cast fatti a tavolino, sulla base della fama tele­visiva: non ve­do mai il corag­gio di speri­mentare nuovi talenti. Io ho gi­rato oltre 300 spot televisivi, ma ho un’in­compatibilità per il linguag­gio della fiction. Non è richiesta la sensibilità».
Vede qualche spiraglio?
«Il cinema di oggi propone lavori estrema­mente interessanti, al di là della dittatura del­la commedia: ma non sono premiati dal pub­blico italiano. Nel resto d’Europa, invece, il pubblico premia film che esprimono cose al­te, come Il concerto, Un profeta, Il nastro bian­co».
E quello che si vedrà a Venezia?
«Con Venezia non ho un bellissimo rappor­to. Dopo le critiche a I giardini dell’Eden ho preferito evitarlo. È un festival governato dai media più che dalle opere, difficilmente ac­cessibile al pubblico, addirittura contro il ci­nema italiano. L’esclusione di Avati dalla ga­ra ne è un esempio».
Forse perché lei ha la fama di essere «uno fuori dal coro» con simpatie per mondo cat­tolico.
«Io, da laico, verso il mondo cattolico non ho pregiudizi: mi interessa confrontarmi con chi si posiziona al centro della vita. È un bene che lo facciano i cattolici, peccato che non lo facciano gli altri. Prendiamo l’esempio del mio film sul matrimonio Casomai. Subì del­le critiche dal mondo laico, ma invece, a 10 anni di distanza, è ancora drammaticamen­te attuale. Denunciavo dei vuoti legislativi in­torno alla famiglia, che sono solo peggiora­ti. Indagando la crisi della coppia, si scopre che intorno a chi costruisce un progetto c’è il nulla, che a volte i figli degli sposati hanno meno vantaggi legislativi di quelli dei divor­ziati. C’è ancora bisogno di raccontare certe cose. Se non lo fa il cinema, chi lo deve fare?»
Quindi lei tornerà sull’argomento?
«Stranamente riesco ancora a lavorare vi­sti i tempi. Sto scrivendo, un adattamento teatrale del testo di Bergman Scene da un ma­trimonio,
primo lavoro dello Stabile dell’A­quila. Andrà in scena a gennaio con Da­niele Pecci e Federica De Martino. Pove­retti, non hanno neanche un teatro: que­sto è il primo progetto per aiutare a rico­struirlo. Spero che altri teatri prendano questo spettacolo in tournée. Per il cine­ma sto scrivendo un progetto legato ai pro­blemi familiari. Il cinema mi interessa quando vedo delle contraddizioni: voglio indagare i meccanismi e le relazioni senti­mentali delle famiglie».