«Sono stato al Meeting di Rimini una volta, per presentare I giardini dell’Eden. È stato un incontro emozionante, quella sala toglieva respiro: non avevo mai visto tanti giovani insieme». Il regista Alessandro D’Alatri non vede l’ora di portare il cinema, appunto, ai giovani che affollano gli spettacoli del Meeting di Rimini, che prendono il via stasera con il dramma da Camus Caligola e la luna con Stefano Pesce. Al regista tocca domani, come presidente della giuria, premiare i vincitori del Meeting Rimini Film Festival, quest’anno realizzato in collaborazione con la School of Visual Arts di New York, con il festival Karuzela Cooltury di Swinoujscie in Polonia e con il Festival Encuentro di Madrid. D’Alatri, inoltre, il 24 incontrerà i fan con il sound engineer, tre volte vincitore del premio Oscar Christopher Newman.
D’Alatri, come sarà questo ritorno al Meeting?
«Mi tremano le gambe se penso che prendo il posto di Pupi Avati come presidente di giuria. Speriamo di essere all’altezza. Sarà una bella occasione di incontro e confronto, un modo per crescere, perché io mi sento ancora un adolescente».
Ancora un festival del cinema: può servire ai nuovi talenti?
«Questo è un festival giovane e sono certo che crescerà. I finalisti sono dei nuovi talenti che arrivano dai 5 continenti e il premio non sono né una statuetta né soldi, ma un corso di studi alla School of Visual Arts di New York. Iniziativa encomiabile ed unica. Le opere sono a 360 gradi, arrivano dalle più disparate esperienze, pubblicitarie, corti, video, documentari. Si parla sempre della globalizzazione in negativo, invece sono interessanti gli sguardi diversi su temi comuni».
Ad esempio, quali?
«Le opere selezionate dal Meeting hanno in comune uno sguardo sull’uomo, che è sempre più dimenticato, l’uomo è diventato un elemento collaterale alla globalizzazione della finanza, è sempre più assente. Personalmente io ho sempre fatto, e sempre farò, quello che mi da più gioia: indagare sui comportamenti e sui percorsi dell’essere umano».
Il cinema contemporaneo se ne occupa abbastanza, secondo lei?
«Il problema è che c’è una grossa perdita di valori e di gusto da parte del pubblico, che privilegia i prodotti superficiali e facili. Purtroppo la tv è il comune denominatore che sta inquinando tutto il mondo dello spettacolo. Vedo dei cast fatti a tavolino, sulla base della fama televisiva: non vedo mai il coraggio di sperimentare nuovi talenti. Io ho girato oltre 300 spot televisivi, ma ho un’incompatibilità per il linguaggio della fiction. Non è richiesta la sensibilità».
Vede qualche spiraglio?
«Il cinema di oggi propone lavori estremamente interessanti, al di là della dittatura della commedia: ma non sono premiati dal pubblico italiano. Nel resto d’Europa, invece, il pubblico premia film che esprimono cose alte, come Il concerto, Un profeta, Il nastro bianco».
E quello che si vedrà a Venezia?
«Con Venezia non ho un bellissimo rapporto. Dopo le critiche a I giardini dell’Eden ho preferito evitarlo. È un festival governato dai media più che dalle opere, difficilmente accessibile al pubblico, addirittura contro il cinema italiano. L’esclusione di Avati dalla gara ne è un esempio».
Forse perché lei ha la fama di essere «uno fuori dal coro» con simpatie per mondo cattolico.
«Io, da laico, verso il mondo cattolico non ho pregiudizi: mi interessa confrontarmi con chi si posiziona al centro della vita. È un bene che lo facciano i cattolici, peccato che non lo facciano gli altri. Prendiamo l’esempio del mio film sul matrimonio Casomai. Subì delle critiche dal mondo laico, ma invece, a 10 anni di distanza, è ancora drammaticamente attuale. Denunciavo dei vuoti legislativi intorno alla famiglia, che sono solo peggiorati. Indagando la crisi della coppia, si scopre che intorno a chi costruisce un progetto c’è il nulla, che a volte i figli degli sposati hanno meno vantaggi legislativi di quelli dei divorziati. C’è ancora bisogno di raccontare certe cose. Se non lo fa il cinema, chi lo deve fare?»
Quindi lei tornerà sull’argomento?
«Stranamente riesco ancora a lavorare visti i tempi. Sto scrivendo, un adattamento teatrale del testo di Bergman Scene da un matrimonio,
primo lavoro dello Stabile dell’Aquila. Andrà in scena a gennaio con Daniele Pecci e Federica De Martino. Poveretti, non hanno neanche un teatro: questo è il primo progetto per aiutare a ricostruirlo. Spero che altri teatri prendano questo spettacolo in tournée. Per il cinema sto scrivendo un progetto legato ai problemi familiari. Il cinema mi interessa quando vedo delle contraddizioni: voglio indagare i meccanismi e le relazioni sentimentali delle famiglie».