UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Dall'università al “cortile”, cercando verità

Chi frequenta le aule universitarie, specie quelle delle facoltà umanistiche, sa bene con quanta insistenza vengano richiesti gli strumenti necessari per rimettere in moto la passione del pensare, esaltandone le capacità critiche e costruttive, volte a generare il desiderio di senso, l’aspirazione alla verità, il coraggio di decidere, la fiducia nel particolare che spinge ad inverarsi nel tutto...
24 Febbraio 2010
Conviene seguire la pista aperta nei giorni scorsi da Francesco Botturi, sulle pagine di «Agorà», e relativa alla necessità di cogliere le quotidiane possibilità di vivere dentro «il cortile dei gentili», facendo appello all’esperienza. Chi frequenta le aule universitarie, specie quelle delle facoltà umanistiche, sa bene con quanta insistenza vengano richiesti gli strumenti necessari per rimettere in moto la passione del pensare, esaltandone le capacità critiche e costruttive, volte a generare il desiderio di senso, l’aspirazione alla verità, il coraggio di decidere, la fiducia nel particolare che spinge ad inverarsi nel tutto. È in questo contesto che in forme a volte timide e ansiose, altre volte con toni irruenti e provocatori viene riproposta «la» questione, quella che grida dentro i cuori e che prende la forma della scommessa della fede o, altrimenti, della sfida dell’incredulità. È il momento che ogni docente sa riconoscere, trasformando la lezione «frontale» nella dinamica del «seminario», che – quando è coerentemente vissuto – comporta sempre un’esperienza comunitaria, al cui interno possono affacciarsi problemi radicali sull’urgente emergenza delle scelte esistenziali, entro cui l’incontro con la Trascendenza si radica. Quasi sempre regolato da una precisa pratica metodologica, il seminario si muove talvolta in un dinamismo dialogico che svuota l’impianto gerarchico e pone tutti – professore ed allievi – dentro una comune tensione che sfocia in una comunità di linguaggio e in una comunione di interessi. Il testo che si ha di fronte è per tutti l’unico ideale maestro e, una volta iniziata la lettura e il confronto, prende corpo il risultato di una produzione collettiva o, almeno, un suo primo abbozzo. Questo non significa, è ovvio, che il seminario universitario debba produrre un appiattimento delle rispettive identità, creando una sorta di cameratismo intellettuale al cui interno si perdono le giuste coordinate della relazione maestro-allievo.
  Se il professore vuole essere una guida, non può che coltivare quella necessaria distanza, capace di neutralizzare i rischi di una demagogica influenza e realizzare una presenza che apre l’orizzonte di chi ascolta, fermandosi al margine del mistero che va lasciato intatto sulla via del personale risveglio.
  Proposta didattica ideata per avvicinare alla lettura dei testi classici, il seminario vive dell’assalto delle interrogazioni radicali e di quel pensiero «recettivo», che impone l’apertura dello sguardo e l’immersione intuitiva dentro le parole. Ciò che, infatti, colpisce chi legge è il darsi complesso di un costrutto linguistico, frutto della fatica di chi lo ha pensato, e che esige una passività illuminata, una contemplazione vigile contro la spontaneità irruente della ragione moderna, quella che pretende di gestire in modo autonomo la sufficienza delle rappresentazioni concettuali. Si tratta insomma di una precedenza, che il testo reclama e che presuppone una meditata immersione, un silenzio produttivo per una ricerca comune del senso, che prorompe all’improvviso da una voce e poi da un’altra ancora, come un poco di ammasso di neve in cima alla montagna, che scende sino a trasformarsi in valanga. Non importa se dopo qualche ora si è ancora alle prime battute del testo; ciò che interessa è che si giunga insieme ad intravedere quello spazio, quell’ideale «cortile» sempre aperto, entro cui fili differenti del senso possono disporsi all’accoglimento del Vero.
 

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