UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

E un vecchio caotico libraio disse del futuro dei libri

Molti anni fa, nella città in cui sono nato, c’era un vecchio libraio che aveva il negozio sul corso principale. Una sola vetrina, abbastanza affollata, e dentro un unico locale in cui i volumi si accatastavano in modo più che creativo, obbedendo a una sottile corrente di simpatia. Di inventario, neanche parlarne. Abbastanza spesso capitava che un cliente potenziale si trasformasse in taccheggiatore effettivo, ma il titolare della bottega non si preoccupava affatto di furti e furtarelli. «A me – diceva – basta che ci sia qualcuno che legge»
5 Novembre 2009

Molti anni fa, nella città in cui sono nato, c’era un vecchio libraio che aveva il negozio sul corso principale. Una sola vetrina, abbastanza affollata, e dentro un unico locale in cui i volumi si accatastavano in modo più che creativo, obbedendo a una sottile corrente di simpatia. Di inventario, neanche parlarne. Abbastanza spesso capitava che un cliente potenziale si trasformasse in taccheggiatore effettivo, ma il titolare della bottega non si preoccupava affatto di furti e furtarelli. «A me – diceva – basta che ci sia qualcuno che legge» . Un libro rubato, per lui, era meglio, molto meglio di un libro mai aperto.
  Altro che politica dello sconto fisso, altro che difesa delle piccole librerie indipendenti. Sono i temi di cui si discuterà nei prossimi giorni a Ivrea, nell’ambito del Forum del libro e della lettura, giunto alla sua sesta edizione. I motivi di allarme non mancano: se negli anni Novanta era stata la cosiddetta grande distribuzione (supermercati e ipermercati, per intenderci) a suscitare malumori per le novità smerciate quasi sottocosto, adesso tocca alle librerie online attirare clienti con offerte irrinunciabili. E poi ci sono i megastore, con tanto di tessere fedeltà.
  Il risultato è che nei centri minori, oltre che nelle periferie delle metropoli, la presenza delle librerie indipendenti si fa sempre più rara, e con margini di guadagno sempre più risicati. A Milano, per esempio, chiudono o rischiano la chiusura anche numerosi esercizi storici del centro, ormai incapaci di sostenere la concorrenza di catene che possono permettersi una percentuale di sconto che, per best seller e affini, si colloca ben al di sopra della soglia critica del 10%. Per fissare il prezzo di un libro bisogna forse partire dal presupposto che il libro, in realtà, non ha prezzo. In primo luogo perché esprime un valore di tipo culturale e, di conseguenza, immateriale che non può essere del tutto monetizzato ( e questa sarebbe la posizione del vecchio libraio, paradossalmente contento dei furti che si verificavano nel suo negozio). In seconda istanza perché la società in cui viviamo è contraddistinta da testi sempre più spesso smaterializzati, prevalentemente nella forma del libro digitale, su cui incombe l’eventualità di una diffusione a costo zero in modalità più o meno legali ( e questa è la posizione di Chris Anderson e di altri esperti della rete, per i quali l’aggettivo inglese ' free' va inteso nel duplice senso di ' libero' e ' gratuito').
  Una questione complessa, dunque, nelle quale le regole del mercato si intrecciano con i processi di percezione. Se considero il libro un bene, sono disposto a pagare per esso. Ma se il prestigio stesso dell’oggetto libro viene messo in discussione, ecco che il dibattito sul ' giusto prezzo' diventa inevitabile. E, di aggiustamento in aggiustamento, può anche capitare che il libro si trasformi in gadget omaggio.
  Da qualche tempo anche tra gli editori italiani ( o, come si usa dire oggi, tra i ' produttori di contenuti') inizia a diffondersi il sospetto che il problema vada risolto sul piano educativo, restituendo dignità alla cultura. In fondo, anche quello del vecchio librario era un metodo pedagogico. Molto impegnativo in termini di fatturato, d’accordo, ma non per questo meno efficace.
  
(da Avvenire del 5 novembre 2009 - pag. 2)

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