UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Educare… a stare disconnessi

Il 66,5% degli studenti tra i 13 e i 19 anni non sospende la connessione mentre studia, il 59,1% non chiude il collegamento nemmeno quando va a dormire e il 20% si connette ogni 10 minuti. Sui risultati di una inquietante ricerca, Avvenire ha raccolto il commento dello psichiatra P. A. Giovannelli.
4 Febbraio 2013
«Non ci aspettavamo questi risultati e, so­prattutto, non in mi­sura così marcata». I dati della ri­cerca sulle attività on line degli stu­denti italiani tra i 13 e i 19 anni (cfr. allegato), hanno sorpreso gli stessi esperti dell’Esc Team, che l’hanno con­dotta, come conferma lo psichia­tra e direttore del centro speciali­stico sulle dipendenze da Internet, Paolo Antonio Giovannelli.
«Soprattutto – aggiunge l’e­sperto, docente di Tecnica della riabilitazione psichiatrica all’Università di Milano – ci ha colpito la stret­ta relazione tra le tipologie di attività on line e il rendimento scolastico dei ragaz­zi ».

Qual è l’aspetto più preoccupan­te della ricerca?
Almeno la metà dei nostri ragazzi non chiude mai la connessione a Internet e questo comportamen­to modifica la percezione di sé e degli altri. Queste sono persone che cercano continuamente l’illu­sione delle relazioni virtuali e non stanno imparando a stare da soli, denotando una grave fragilità e­motiva.

Perché è importante saper stare da soli?
Chiudere i contatti con l’esterno implica la capacità di tracciare dei confini tra sé e l’altro e ciò per­mette di diventare adulti. Invece, oggi ci sono persone colpite da “nomofobia”, che è la dipendenza dal telefono cellulare. C’è gente che addirittura non tollera che il telefonino possa essere scarico.

Cosa comporta, per la persona, questo stato di perenne collega­mento alla rete web?
Sicuramente, l’impoverimento della capacità di entrare in rela­zione con gli altri in maniera profonda. La ricerca denota che, in molti casi, manca total­mente l’educa­zione allo scambio rela­zionale. Inter­net, che è e de­ve rimanere sol­tanto uno stru­mento, diventa invece un’e­stensione di sé e crea dipendenza e progressivo i­solamento sociale con annessa sindrome ansioso-depressiva.

Qual è il compito degli educatori, genitori e insegnanti?
Educare gli adolescenti a un cor­retto utilizzo delle risorse del web. E questo, come dicono i dati della nostra ricerca, può influenzare po­sitivamente anche il rendimento scolastico degli studenti. General­mente, il 60-70% dei ragazzi riesce a instaurare un rapporto positivo con Internet e la rete web, ma c’è un 30-40% che, invece, va aiutato.

Concretamente, che cosa si può fare?
Bisogna puntare sulla cultura del­la disconnessione, lavorando sul­la capacità di restare scollegati dal­la rete. Questo è un passaggio fon­damentale ma tutt’altro che sem­plice da attuare. Ci sono, infatti, ra­gazzi che addirittura non riescono a dormire se il cellulare è spento. Il telefonino diventa allora come l’orsacchiotto o il bambolotto che si portavano a letto da bambini.

In casi del genere come si deve comportare un genitore?
Certamente, non si può limitare a sequestrare il telefonino al figlio. I genitori devono interessarsi all’at­tività on line dei propri ragazzi, co­minciando con il colmare il gap di conoscenze digitali che ancora di­vide le generazioni.

La strada giusta è allora chiedere al proprio figlio l’amicizia su Fa­cebook?
Non necessariamente, anche se a­vere un proprio profilo aiuta a co­noscere l’ambiente dove interagi­sce il ragazzo. Può invece essere u­tile chiedere l’amicizia ad altri ge­nitori, creando una rete per scam­bi di esperienze e consigli.

E chi non ha dimestichezza con il web che cosa può fare?
Può generare la diversità. Anche al tempo di Internet, organizzare u­na bella partita a calcio con i pro­pri figli è una buona scusa per spe­gnere computer e telefonino.