UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Era digitale e fame di spiritualità

La trasformazione del pianeta in “villaggio globale”, accelera­ta dall’esperienza della realtà virtuale consentita dall’universo multimediale e dal “web”, incide anche sulla sfera religiosa e spiri­tuale. Nella riflessione di Mons. Bruno Forte, l’urgenza di indivi­duare come il cristianesimo debba contribuire a costruire un’umanità più giusta e felice, più unita e conforme al progetto divino.
10 Luglio 2012
La trasformazione del pianeta in “villaggio globale”, accelera­ta dall’esperienza della realtà virtuale consentita dall’universo multimediale e dal “web”, incide anche sulla sfera religiosa e spiri­tuale. Fenomeni come il New Age o Era dell’Acquario, dall’impatto va­stissimo soprattutto nella cultura nord- e sud-americana sembrano rispondere al bisogno di rassicura­zione prodotto dall’accelerazione dei cambiamenti attraverso una sorta di “gnosi” per il popolo, in cui le sub-culture prodotte dalla dipen­denza mediatica trovano garanzie psicologiche e consolazioni a buon mercato, convenienti alle finalità delle grandi agenzie di consenso e­conomico e politico del pianeta.
Ecco perché diventa urgente indivi­duare come il cristianesimo – nella varietà dei contesti e delle sue tra­dizioni confessionali e specialmen­te nella pienezza della sua espres­sione cattolica – debba contribuire a costruire in rapporto ad esse un’umanità più giusta e felice, più unita e conforme al progetto divino di salvezza. Tre ambiti di impegno si lasciano riconoscere come inelu­dibili per tutte le Chiese e per il loro cammino comune: la risposta da dare al nuovo bisogno di spiritua­lità, l’urgenza emergente della cat­tolicità e l’impegno al servizio della giustizia, della pace e della salva­guardia del creato. Si può dire che la riflessione della fede del terzo millennio si giocherà intorno alla martyrìa, alla koinonìa e alla diakonìa , vissute dai cristiani.
La via della martyrìa corrispon­de a una ritrovata esigenza di spiritualità emersa dalla para­bola dell’epoca moderna: c’è biso­gno di una teologia più teologica, più collegata al vissuto spirituale.
La modernità aveva separato, se non addirittura contrapposto, il momento razionale e il momento esperienziale della vita, producen­do quel divorzio fra riflessione e spiritualità, che aveva reso anche la teologia piuttosto arida e intellet­tualistica e la spiritualità piuttosto sentimentale e intimistica. L’epoca post-moderna spinge a saldare nuovamente questi due ambiti: l’al­ternativa della fede all’astrattezza dell’ideologia sta nella possibilità di sperimentare un rapporto persona­le con la Verità, nutrito di ascolto e dialogo con il Dio vivo. La Verità non è qualcosa che si possiede, ma Qualcuno dal quale lasciarsi posse­dere. Secondo la critica di moda ne­gli anni dell’ideologia rampante, la dimensione contemplativa della vi­ta sembra offrirsi come riserva di integralità umana e di autentica so­cialità. Si può quindi supporre che il futuro del cristianesimo o sarà più spirituale e mistico, e ricco di e­sperienze del Mistero divino, o po­trà ben poco contribuire alla crisi e al cambiamento in atto nel mondo.
La ricerca di un nuovo consenso in­torno alle evidenze etiche doman­da ai cristiani una risposta a partire dalla testimonianza specifica della loro fede nel Dio di Gesù Cristo, an­che per evitare il rischio non indif­ferente di “riduzione al minimo co­mun denominatore”, che sembra e­mergere in alcuni approcci interre­ligiosi alla questione etica.
Accanto alla via della martyrìa, quella della koinonìa corrisponde alla nostalgia di unità che si affaccia nella “globalizzazione” del pianeta.
In particolare, in Europa – culla del­le divisioni fra i cristiani – la disgre­gazione seguita al crollo del muro di Berlino e l’emergere violento di regionalismi e nazionalismi sfidano le Chiese a porsi come segno e stru­mento di riconciliazione fra loro e al servizio dei loro popoli. Sul piano teologico è significativo che la ri­flessione ecumenica, dopo aver de­dicato una privilegiata attenzione alle forme sacramentali, si concen­tri sul tema della koinonìa, che e­sprime non solo un’esigenza di ri­pensamento ecclesiologico riguar­do alla struttura e alla vita interna delle Chiese, ma anche un’atten­zione alla sfida che il bisogno di unità emergen­te dalle nuove divisioni pone alle comunità cristiane. Emerge una nuova, diffu­sa attenzione alla “cattolicità”, inte­sa sia secondo il suo significato di universalismo geografico, reso più che mai attuale proprio dai proces­si di “globalizzazione” del pianeta, sia secondo il senso di pienezza e totalità, che rimanda all’integralità della fede e della attualizzazione della memoria del Cristo. N on sorprende allora che in ambito ecumenico si dedi­chi nuova attenzione all’u­nità universale nella Chiesa. Un contributo notevole alla riscoperta della cattolicità, come esigenza e condizione della missione cristia­na, viene da Giovanni Paolo II e Be­nedetto XVI: il loro pontificato, ca­ratterizzato da un’itineranza apo­stolica, ha evidenziato la ricchezza della “regionalizzazione” della Chiesa e ha ribadito le esigenze del­l’unità dottrinale e pastorale sul piano universale. La rilevanza di quest’azione è stata palese in alcuni cambiamenti storico-politici, come quello della crisi del “socialismo reale”, ma va considerata soprattut­to nella sua specificità spirituale di riproposizione del Vangelo come messaggio di vita e salvezza per le singole situazioni culturali e per la crescita nell’unità e nella pace della famiglia umana. La prima decade del Terzo Millennio indica questa direzione proponendola come un i­tinerario di conversione e rinnova­mento per tutti i credenti, chiamati a far memoria dei doni di Dio, ma anche a riconoscere le proprie col­pe, personali e collettive, e a ripen­sare la propria identità e missione di fronte alle sfide del nuovo mil­lennio cristiano, specialmente in chiave ecumenica e nell’ottica del dialogo interreligioso. Una teologia ecclesialmente responsabile e aper­ta alle esigenze della cattolicità sembra più che mai necessaria.
Infine, la testimonianza evangelica della carità come diakonìa , nell’im­pegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, appare co­me il terzo grande campo di azione per il cristianesimo degli inizi del Terzo Millennio in tutte le sue e­spressioni confessionali: le sfide della giustizia sociale sono oggi in­terconnesse con i rapporti interna­zionali di dipendenza e con la que­stione ecologica.
Lo stretto intreccio appare con grande chiarezza quando si considerino i processi in atto nella “globalizzazione”, superando visuali regionalistiche, a volte trop­po chiuse: il cristianesimo, religione universale diffusa nei contesti stori­ci e culturali più diversi, appare qui soggetto privilegiato per tener desta una coscienza critica attenta a di­fendere la qualità della vita per tutti e capace di farsi voce specialmente di chi non ha voce e fronteggiare, con un impatto morale e spirituale di grande portata, le logiche esclu­sive ed egoistiche delle grandi a­genzie mondiali di potere economi­co e politico. Di fronte alla crisi mondiale e all’avidità da cui essa è stata generata la testimonianza del primato della carità è una sfida e u­na promessa. I credenti devono contare solo sulla vitalità della loro fede e l’operosità evangelica: tutta­via, il patrimonio spirituale che si e­sprime nella vastissima rete di ope­re di volontariato e di solidarietà che la Chiesa ha espresso con crea­tività, anche nel nostro tempo di mutamenti rapidi e spesso dram­matici, costituisce al tempo stesso un contributo e una proposta all’u­manità intera per l’edificazione di un “villaggio globale” che sia più a misura umana. È significativo che la Chiesa sia intervenuta in termini inequivoci con l’Enciclica di Bene­detto XVI Caritas in veritate sull’at­tuale forma in cui si presenta la questione sociale. I cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni del secolo richiedono però a tutte le Chiese di far propria la denuncia del sistema di dipendenze che reg­ge i rapporti specialmente fra il Nord e il Sud del mondo. A tutti è domandato di contribuire a indivi­duare una via economico-politica che superi le rigidità del collettivi­smo e dei suoi fallimenti storici, e gli egoismi miopi di un capitalismo assolutista e accentratore. Una teo­logia “militante” nel servizio della carità e della ricerca di una più grande giustizia appare qui come compito e sfida ineludibile.