UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Humanitas vs tecnology?

L’«humanitas» ha segnato un lungo arco temporale, un’epoca, un tratto costituente della storia europea. «Technology» segna questo tempo, la sua velocità, la sua fragilità di pensiero. Vi proponiamo, dalle colonne di Avvenire, la riflessione di Giorgio De Simone.
3 Maggio 2012
Girare per Milano, la città dove sei nato e sempre vissuto, per vedere come cambia. «Solo me ne vo per la città» diceva la vecchia canzone (di Eros Sciorilli, 1945). Ma dov’è oggi la Milano di un tempo? Nella metropoli che sale con i suoi nuovi grattacieli e con i parallelepipedi che si alternano a palazzi di vetrocemento senza un balcone c’è sempre un’aria di precostituito, di genericamente configurato, di tecnologico. La tecnologia, già. Dea del nostro tempo, dominante, trasfigurante.
Tra i tanti che si aggirano per le strade - «la folla che non sa» della canzone - quanti guardano in giro e quanti nel vuoto perché parlano al telefono o sono assorti sul «display» del medesimo? Sono nugoli distratti, spossessati, posseduti dalla «Tekne». La parola «humanitas» diceva (dice) scoperta dell’uomo, sete di sapere, culto della civiltà classica, libertà dell’intelletto. Da «humanitas» viene l’umanesimo, rivelazione del valore dell’uomo.
A lui la dignità, la responsabilità, la costruzione del proprio destino. L’uomo misura di tutte le cose, secondo l’antica definizione di Protagora, e che prende il posto che gli compete, posto che prima non aveva, stretto, se non soffocato, nei dogmi medievali.
C’è chi vede l’Europa nascere da umanesimo e cristianesimo coniugati insieme, i classici greci e latini che si uniscono ai santi della fede. Uno dei maestri dell’umanesimo, Leonardo Bruni (1369-1444), letterato, filosofo, cancelliere nella Firenze del primo Quattrocento, individua nella riedificazione del mondo classico non tanto la ricostruzione dell’Atene di Pericle, quanto, come scrisse Eugenio Garin, la costruzione dell’Atene di Cristo. Ma ripercorrendo un’epoca c’è chi ne scorge un volto, chi un altro. Il concetto di «humanitas» dominava l’arte del Brunelleschi e non fu dal grande architetto certamente trascurato quando concepì la Cappella dei Pazzi (ricchi banchieri), riflettente, nell’armonica coerenza delle forme, aspirazioni e ambizioni di una Firenze avviata ad essere città senza uguali, ma anche teatro di animosità, rancori e odi tali da sfociare in congiure come quella che nel 1478 vide l’assassinio di Giuliano de’ Medici e il ferimento di Lorenzo il Magnifico: la congiura, appunto, dei Pazzi.
Oggi la parola «humanitas» con tutto ciò che anche di moderno essa potrebbe rappresentare, è stata sostituita da «technology».
L’«humanitas» ha segnato un lungo arco temporale, un’epoca, un tratto costituente della storia europea. «Technology» segna questo tempo, la sua velocità, la sua fragilità di pensiero, le sue crescenti incertezze e questo essere tutti schiavi di strumenti sofisticati e applicazioni spesso inaccessibili. Da «humanitas» sono venuti Umanesimo e Rinascimento, come dire due chiavi di volta della nostra civiltà.
Se «Technology» è, come sicuramente anche è, il rincorrersi ogni giorno di miliardi di parole sui miliardi di schermi del mondo, che cosa ne deriva?
Forse un mondo nuovo e migliore? Auguriamocelo, non possiamo far altro. Certo se bellezza c’era, come c’era, nel concetto stesso di Umanesimo e di Rinascimento, oggi, tempo di «Technology», la bellezza sembra diventata occasione da sfruttare, attrattiva da consumarsi e godere, non più equilibrio, armonia, non più guida per l’uomo, per il suo perenne, difficile cercare.