UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I nuovi linguaggi
del primo annuncio

Bibbia-arte-comunicazione: a Matera cinque giorni di riflessione e confronto organizzati dall'Ufficio Catechistico Nazionale e da quello per le comunicazioni sociali. Chiude i lavori don Ivan Maffeis: priorità ai contenuti e alla loro interiorizzazione.
8 Luglio 2011
Non una cronaca che scorre via e non lascia traccia. Ma un «racconto» che tocca il cuore e la mente, apre alla fi­ducia e invita a entrare nella comunità. Quan­do oggi si parla di primo annuncio, c’è biso­gno di tornare a riscoprire il racconto. Uno «stile» che, come mostra la storia della Chie­sa, può essere declinato secondo linguaggi diversi: quello della scrittura, quello dell’ar­te, quello che propongono i media plasman­do la cultura digitale. La sfida diventa, allora, la prospettiva di «u­scire dalla routine della cura pastorale inca­pace di saldare la fede alla vita, per aprirsi al­la novità del Vangelo che rende la vita buona e bella», afferma don Carmelo Sciuto, aiu­tante di studio dell’Ufficio Catechistico Na­zionale che il 6 luglio ha aperto a Matera, nella casa di spiritualità Sant’Anna, il secon­do corso interdisciplinare «Bibbia-arte­comunicazione ». Cinque giorni di riflessioni e laboratori che vede riuniti fino a domenica10 luglio nella «città dei sassi» più di cento fra anima­tori biblici, operatori della comunicazione, educatori e catechisti, chiamati ad ap­profondire «i linguaggi del primo annuncio tra la Chiesa delle origini e l’origine del Van­gelo », spiega il titolo dell’appuntamento.

 
Il Corso, promosso dal Settore Apostolato Bi­blico (SAB) dell’Ufficio Catechistico Naziona­le e dall’Ufficio Nazionale per le comunica­zioni sociali, affonda le sue radici nella Scrit­tura. «Infatti l’evangelizzazione non è soltanto una questione di tecniche comunicative ma è connessa all’esperienza di fede che ci ren­de testimoni credibili», sottolinea don Pa­squale Giordano, membro del SAB naziona­le e coordinatore dell’evento. Di fatto, preci­sa, «occorre vincere la tentazione di vedere l’annuncio alla stregua di una semplice fun­zione ». Soprattutto se si fa riferimento al primo an­nuncio che deve puntare sia sulla «dimen­sione del dono», sia sulla «sorpresa» per at­tuare una «continua conversione», chiarisce don Sciuto. Ecco perché «la lettura dei Van­geli non va considerata un’operazione di ar­cheologia, ma serve intercettare quel dina­mismo interiore che ha animato sia l’autore sia la comunità e che può dire molto all’uo­mo di oggi», sottolinea don Sebastiano Pin­to, biblista alla Facoltà teologica pugliese.
Un modello per chi è impegnato sul campo è rappresentato da san Paolo che, spiega Ro­salba Manes, docente di Sacra Scrittura al­l’Ecclesia Mater di Roma, «invita a fare della relazione il canale privilegiato della trasmis­sione del messaggio di salvezza che viene da Cristo». È quanto emerge dalla Lettera a File­mone
proposta in uno dei laboratori. E l’annuncio può essere sostenuto facendo le­va su più perni. La tradizione ci consegna i racconti apocrifi che «rappresentano un bi­sogno di consolidare e arricchire» i Vangeli canonici attraverso «un’arte narrativa che fa del meraviglioso, del dettaglio ricercato o del­l’intreccio intricato alcune delle sue strategie più affascinanti», evidenzia la teologa Anna­lisa Guida, docente alla Pontificia Facoltà teo­logica dell’Italia meridionale.
Nell’era digitale la Parola non può prescindere neppure da tv e Rete. «Anzi – afferma don Franco Mazza, docente di comunicazioni so­ciali alla Pontificia Università Urbaniana – è opportuno cogliere il linguaggio che rinvia alla vita buona presente anche negli ambianti massmediali in cui è doveroso essere presenti per ascoltare le domande di senso che si po­ne l’uomo contemporaneo». E don Ivan Maf­feis, vice direttore dell’Ufficio Cei per le co­municazioni sociali, aggiunge: «Se l’educa­zione è chiamata a fornire le chiavi per vive­re il proprio tempo, la priorità rimanda non tanto alla tecnologia, quanto alla qualità dei contenuti e alla loro interiorizzazione. Con­dizioni per riuscire a divulgarli su ogni piat­taforma e in ogni ambito del quotidiano». Le voci spesso si sovrappongono, come in certi talk show. «Perciò – conclude don Maffeis – è necessaria una testimonianza alimentata dal­la trasparenza e dall’autenticità; dall’ascolto che sa accogliere la disponibilità dell’altro al­la partecipazione; e dal silenzio, cercato e cu­stodito, per ritrovare uno sguardo di con­templazione in un contesto che lascia poco spazio alla profondità del pensiero».