Non una cronaca che scorre via e non lascia traccia. Ma un «racconto» che tocca il cuore e la mente, apre alla fiducia e invita a entrare nella comunità. Quando oggi si parla di primo annuncio, c’è bisogno di tornare a riscoprire il racconto. Uno «stile» che, come mostra la storia della Chiesa, può essere declinato secondo linguaggi diversi: quello della scrittura, quello dell’arte, quello che propongono i media plasmando la cultura digitale. La sfida diventa, allora, la prospettiva di «uscire dalla routine della cura pastorale incapace di saldare la fede alla vita, per aprirsi alla novità del Vangelo che rende la vita buona e bella», afferma don Carmelo Sciuto, aiutante di studio dell’Ufficio Catechistico Nazionale che il 6 luglio ha aperto a Matera, nella casa di spiritualità Sant’Anna, il secondo corso interdisciplinare «Bibbia-artecomunicazione ». Cinque giorni di riflessioni e laboratori che vede riuniti fino a domenica10 luglio nella «città dei sassi» più di cento fra animatori biblici, operatori della comunicazione, educatori e catechisti, chiamati ad approfondire «i linguaggi del primo annuncio tra la Chiesa delle origini e l’origine del Vangelo », spiega il titolo dell’appuntamento.
Il Corso, promosso dal Settore Apostolato Biblico (SAB) dell’Ufficio Catechistico Nazionale e dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, affonda le sue radici nella Scrittura. «Infatti l’evangelizzazione non è soltanto una questione di tecniche comunicative ma è connessa all’esperienza di fede che ci rende testimoni credibili», sottolinea don Pasquale Giordano, membro del SAB nazionale e coordinatore dell’evento. Di fatto, precisa, «occorre vincere la tentazione di vedere l’annuncio alla stregua di una semplice funzione ». Soprattutto se si fa riferimento al primo annuncio che deve puntare sia sulla «dimensione del dono», sia sulla «sorpresa» per attuare una «continua conversione», chiarisce don Sciuto. Ecco perché «la lettura dei Vangeli non va considerata un’operazione di archeologia, ma serve intercettare quel dinamismo interiore che ha animato sia l’autore sia la comunità e che può dire molto all’uomo di oggi», sottolinea don Sebastiano Pinto, biblista alla Facoltà teologica pugliese.
Un modello per chi è impegnato sul campo è rappresentato da san Paolo che, spiega Rosalba Manes, docente di Sacra Scrittura all’Ecclesia Mater di Roma, «invita a fare della relazione il canale privilegiato della trasmissione del messaggio di salvezza che viene da Cristo». È quanto emerge dalla Lettera a Filemone
proposta in uno dei laboratori. E l’annuncio può essere sostenuto facendo leva su più perni. La tradizione ci consegna i racconti apocrifi che «rappresentano un bisogno di consolidare e arricchire» i Vangeli canonici attraverso «un’arte narrativa che fa del meraviglioso, del dettaglio ricercato o dell’intreccio intricato alcune delle sue strategie più affascinanti», evidenzia la teologa Annalisa Guida, docente alla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale.
Nell’era digitale la Parola non può prescindere neppure da tv e Rete. «Anzi – afferma don Franco Mazza, docente di comunicazioni sociali alla Pontificia Università Urbaniana – è opportuno cogliere il linguaggio che rinvia alla vita buona presente anche negli ambianti massmediali in cui è doveroso essere presenti per ascoltare le domande di senso che si pone l’uomo contemporaneo». E don Ivan Maffeis, vice direttore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, aggiunge: «Se l’educazione è chiamata a fornire le chiavi per vivere il proprio tempo, la priorità rimanda non tanto alla tecnologia, quanto alla qualità dei contenuti e alla loro interiorizzazione. Condizioni per riuscire a divulgarli su ogni piattaforma e in ogni ambito del quotidiano». Le voci spesso si sovrappongono, come in certi talk show. «Perciò – conclude don Maffeis – è necessaria una testimonianza alimentata dalla trasparenza e dall’autenticità; dall’ascolto che sa accogliere la disponibilità dell’altro alla partecipazione; e dal silenzio, cercato e custodito, per ritrovare uno sguardo di contemplazione in un contesto che lascia poco spazio alla profondità del pensiero».