C’è chi, accanto alle parole di ringraziamento per il 2012 che stava per volgere al termine, ha voluto unire l’immagine di un luogo significativo o di un’esperienza vissuta che si è rivelata particolarmente importante. Altri hanno preferito associare un volto: quello di chi ha segnato così tanto la propria storia da far traboccare il cuore di gioia. Ma c’è anche qualcuno che, accanto a quello scatto, ha desiderato scrivere altro: l’eredità lasciata da quella persona, la gratitudine per il bene ricevuto che si fondeva a malinconia e commozione.
In questi giorni di passaggio da un anno all’altro, la bacheca di Facebook e dei social network è diventata come non mai il luogo della condivisione. Dalle sofferte preoccupazioni per il lavoro al dare voce al disagio e alle paure sul futuro, ponendo anche questioni profonde sulle scelte per la propria vita. Gli innumerevoli post pubblicati – letti in profondità – sembravano rispondere a una domanda comune: quale opportunità per la mia vita posso cogliere dal tempo che mi viene offerto? Molti chiedono perdono per gli errori compiuti, altri manifestano solitudini o inquietudini, c’è chi lascia parole per chiedere scusa e riaprire spazi di relazione. Guardando al tempo trascorso e facendo con verità – e misericordia – il bilancio di quanto vissuto, emerge il nodo cruciale: quale senso dare alla vita? Quale speranza può tenermi in piedi nel nuovo anno?
Tra buoni propositi e piccoli impegni, tra i vari post è comparso anche questo: «Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno». Nelle ultime parole del Te Deum , l’inno di ringraziamento cantato a fine anno, l’augurio per il 2013: lo stupore per il Signore che raggiunge la nostra vita ci permette di scrivere la storia con il sorriso della speranza.
(di Luca Sardella)