Chi pensa alla Rete come un “grande fratello” di orwelliana memoria o a trame da film tipo Echelon Conspiracy può iniziare a ricredersi. Per “tracciare” le nostre identità su internet basta un semplice “biscotto”, in inglese cookie, per mettere configurare la nostra vita digitale sul web.
Questi “biscottini” sono tutt’altro che dolci. Anzi, per definirili tecnicamente sono piccoli blocchi di dati che vengono usati per effettuare autenticazioni. Un fenomeno che viene definito “tracking”, cioè quel procedimento composto da una serie di sessioni di memorizzazione delle informazioni specifiche che riguardano tutte le persone che tramite computer accedono a un server. L’operazione che facilita i cookies è quella di andare con una certa frequenza sui “siti preferiti” oppure, per fare un esempio quando si mette nel “carrello della spesa” un libro acquistato on line, si prenota un viaggio o un albergo. In queste operazioni la parola d’ordine è prudenza e cercare siti sicuri per non correre il rischio di essere “pedinati” durante la nostra navigazione su internet. Sui motori di ricerca, ma anche nei social network il pericolo poi è davvero in agguato. «Gli inserzionisti pubblicitari sostengono dei costi per la pubblicazione dei loro annunci in quasi tutti i servizi web e il business è diventato molto redditizio grazie all’invio di messaggi pubblicitari mirati a catturare l’attenzione – ha scritto Simson L. Garfinkel, ricercatore e scrittore che vive ad Arlington, in Virginia, sulla rivista del Mit Technology Review –. Ciò richiede una caccia costante all’informazione su chi siamo e cosa facciamo on line. Il browser web di per sé rivela una quantità sorprendente di informazioni su di noi e i pubblicitari sono impazienti di scovarne ancora di più». Al riguardo sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea hanno cercato di regolamentare la questione e le authorities seguono molto da vicino la problematica che tocca direttamente l’utenteconsumatore. Una direttiva europea del 2002 per esempio affronta in generale “il trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche” e in particolare fa riferimento in un paragrafo ai cookies che, nonostante la pericolosità, “possono rappresentare uno strumento legittimo e utile, per esempio per l’analisi dell’efficacia della progettazione di siti web e della pubblicità, nonché per verificare l’identità di utenti che effettuano transazioni on-line”. Ma nello stesso paragrafo la direttiva fa presente che “il loro uso dovrebbe essere consentito purché siano fornite agli utenti informazioni chiare e precise” sugli scopi dei marcatori “per assicurare che gli utenti siano a conoscenza delle informazioni registrate sull’apparecchiatura terminale che stanno utilizzando”. In pratica gli utenti dovrebbero rifiutare i cookies nel loro terminale. Spesso però non “accettare” questi simpatici biscottini può significare non riuscire a entrare in un sito.
Allora? Oltre alla legge, dunque occorre specializzarsi e capire il funzionamento di browser e opzioni su internet. Non basta più navigare su un sito, bisogna immettersi nella logica del 2.0 con responsabilità e competenza. Se nell’era dell’1.0 la diffusione popolare del web offriva pagine di tipo statico e gli utenti effettuavano la stessa navigazione in Rete per ogni sito visitato oggi non è più così. Le pagine sono dinamiche e il “biscottino” è sempre lì pronto a inzupparsi di dati, gusti e preferenze.