«Una casta quasi sacerdotale», che si alimenta di «granitici pregiudizi», riducendo la complessità del mondo a due sole categorie: amici e nemici. Per una volta spietati con se stessi, giornalisti come William McGurn, firma del “Wall Street Journal”, John Waters, seguìto editorialista dell’“Irish Times”, il reporter canadese Peter Stockland e Mario Calabresi, direttore de “La Stampa”, hanno raccontato “Il vangelo secondo i santi media”.
«Il mondo dei mezzi di comunicazione è visto dagli stessi addetti ai lavori come una casta quasi sacerdotale, con le proprie ideologie, le proprie credenze, i propri riti», ha osservato McGurn. Come partecipando a un esame di coscienza pubblico, l’irlandese Waters ha confessato di «fare fatica a non avere pregiudizi, ad ascoltare con l’orecchio del cuore». Colpa di quella fabbrica delle notizie che vorrebbe «inscatolare tutto, dividere le cose per generi».
Nei giorni scorsi Mario Calabresi è stato protagonista, suo malgrado, di un episodio emblematico. Un quotidiano ha parlato di lui dipingendolo come il solito giornalista sessantottino. Sarebbe bastato un controllo facile facile: Calabresi è nato nel 1970. L’importante, in questo come in altri analoghi casi, non era raccontare, ma picchiare. «Invece – ha insistito Calabresi - penso che non bisogna perdere di vista l’uomo e che sia necessario uno sguardo positivo perché ci sia qualcosa di vero che copra il falso». Il punto, secondo Waters, è che «stiamo perdendo la nostra cultura, stiamo scivolando nel nulla». William McGurn ne è sicuro, una via d’uscita c’è. «La possibilità che intravedo – ha detto – è che, attraverso incontri e luoghi come il Meeting, si riesca a costruire una nuova generazione di media, laici ma non secolarizzati». Mezzi animati da curiosità, da dubbi, dal coraggio di lasciarsi sorprendere. Questa lezione Peter Stockland la imparò quand’era un giovane cronista. Una notte, in un quartiere a luci rosse dove avrebbe dovuto intervistare alcune prostitute, si presentò con il taccuino fitto di domande. Al termine dell’intervista una ragazza lo spiazzò: «Lei pensa che io non mi vergogni di quello che faccio?». Per dirla con Calabresi «la scommessa è la realtà». Arrivare al cuore dell’informazione «significa non anteporre la critica ai fatti, ma lasciar parlare la realtà». Un metodo che terrebbe alla larga «dai granitici pregiudizi, dalle strade da cui non si può uscire».
Il «circo della menzogna» avrà anche venduto bene, ma è al capolinea, «perché la realtà – preconizza Calabresi - è testarda, non è possibile per nessuno inquinarla o manipolarla per sempre».