UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La storia di don Gabriele:
perché un prete su Twitter

Dalla pagina del "Portaparola" di Avvenire dell'11 dicembre, vi proponiamo la testimonianza di don Gabriele Mangiarotti, della diocesi di San Marino - Montefeltro, curatore del sito CulturaCattolica.it. «Twitter è un canale dove non conta l’etichetta - afferma don Gabriele - ma soltanto la proposta».
11 Dicembre 2012
Ho scoperto Twitter. Mi prende più di Facebook, forse perché meno disper­sivo. Da un lato con la sua telegra­ficità ti costringe all’essenziale, dall’altro è realmente 'rete', a­perta e pubblica. 'Segui' chi vuoi, e ti segue chi è interessato a quel­lo che proponi. Così si realizza quello che per me è essenziale per definire un cattolico in rete: non l’etichetta, il 'bollino di qualità', ma la ragionevolezza della sua proposta, la capacità di lettura a­deguata della realtà e dei suoi problemi. Insom­ma, a me è evi­dente che nel mondo del Web quello che conta sei tu, la tua iden­tità, la passione e la capacità di co­municare.
Certo, il mio essere sacerdote in qualche modo mi aiuta, e l’espe­rienza della Chiesa è come un grosso fattore di realismo: non ti fa perdere dietro a leggerezze o ba­nalità, ti costringe ad essere at­tento a ciò che vale realmente, a non rinchiuderti nello strumento, nel mezzo; insomma, non ti fa per­dere il senso delle proporzioni. Twitter, paradossalmente, può es­sere anche silenzio. Nel senso che può farti fermare, pensare, rio­rientare. Può dare voce a chi non ha voce (si pensi ai tweet in difesa dei malati terminali o a tutela del­la vita umana fin dal suo concepi­mento). Twitter, insomma, non è solo il presente che si consuma in un tweet, ma può lasciare il segno. La presenza di cristiani (e sacer­doti) in Rete e l’uso di Twitter de­vono essere 'piegati' allo scopo della evangelizzazione. Un catto­lico lo userà come i primi hanno usato la stampa, e come i Papi hanno usato la radio.La proposta va lanciata senza paura né bigot­tismi. Certo, accade spesso che le reazioni del mondo laicista ci sia­no, violente e pesanti: basta vede­re quello che è stato detto e scrit­to proprio per la presenza di Be­nedetto XVI su Twitter. E quindi lasciamo pure che chi non ha al­tro da fare che denigrare la Chie­sa vada pure per la sua strada; noi non smettiamo di dare ragioni. Quello che ho visto, dopo tanti an­ni in internet, è che i risultati si possono ottenere. Senza com­plessi di inferiorità.
Ho sempre ritenuto che un aspet­to specifico della presenza di un prete in Rete sia l’attenzione alla bellezza: grafica ed espressiva. Guai al pressa­pochismo e alla superficialità; guai a chi crede che bastino con­tenuti 'cattolici' per comunicare, guai a chi pensa di avere audien­ce seguendo le mode del mo­mento. Se si è di Cristo, si sa che tutto serve allo scopo. Io con Twit­ter mi diverto: è straordinario in­teragire con tanti, accorgersi di contribuire a un cammino che in­cide e porta speranza. C’è però un nota bene: Twitter non è diverso dal mondo solito dell’informazio­ne. Allora è evidente che ci vuole una rete di 'cattolici', che sappia tenere aperto lo sguardo al miste­ro, all’essenziale, al giudizio che nasce dalla esperienza cristiana. Rete vuol dire realmente trama di rapporti. Mai come in Internet è evidente che i rimandi, i collega­menti sono una ricchezza. Sul Web il principio di sussidiarietà, tanto caro alla Dottrina sociale della Chiesa, ha un punto privilegiato per realizzarsi. Non solo perché chi ha le capacità può esprimersi, ma perché può mettere in atto quella 'sinergia' che non porta via visitatori, ma anzi li rende più fe­deli. Un sito 'autoreferenziale', che cerca visitatori ma non favo­risce lo scambio, avrà certamente breve vita. 
 
Don Gabriele Mangiarotti