UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Liberati i quattro giornalisti
rapiti in libia

Claudio Monici di Avvenire, Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera, e Domenico Quirico della Stampa (nell'ordine nella foto), sono stati liberati e ora si trovano in un hotel della capitale Tripoli. Prima telefonata di Claudio con la redazione: «È un miracolo che siamo vivi».
25 Agosto 2011
Sono stati liberati nella mattinata del 25 agosto i quattro inviati italiani, tra cui Claudio Monici di Avvenire, rapiti il 24 agosto da una banda di irregolari che poi li avevano consegnati a fedeli del regime di Gheddafi. C'è stata una irruzione nella casa dove erano stati tenuti prigionieri. "Il nostro primo pensiero va all'autista ucciso a sangue freddo dai sequestratori", hanno detto i giornalisti appena liberati. Uno di loro, secondo una testimonianza ha nel volto segni di percosse.

 
 
LA PRIME PAROLE DI CLAUDIO MONICI CON LA REDAZIONE
Claudio Monici ha chimato alle 12 in redazione. Drammatiche le sue parole: "E' un miracolo se siamo vivi, abbiamo rischiato di essere linciati. Una persona ha capito la situazione e ci ha strappati dalle mani degli assalitori. Ora siamo al sicuro all'hotel Corinthia. Sono senza telefono, senza più denaro. Sono stati tra i momenti peggiori della mia vita, molto più faticosi di altre volte in cui mi sono trovato in situazioni difficili". Claudio ha aggiunto che è riuscito a comunicare con la sua famiglia grazie al cellulare prestatogli da un collega del Tg1, Marco Clementi.
 
IL RAPIMENTO: LA CRONACA DEL 24 AGOSTO
"Da questa mattina non posso contattarvi... non sono più riuscito a chiamarvi... Siamo trattenuti dai militari. Sono assieme a tre colleghi italiani. Ci hanno presi, stiamo bene, ma la situazione qui è delicata, è molto difficile». È Claudio Monici al telefono, l’inviato di guerra di Avvenire, partito lunedì per la Libia. Il tono della voce è molto profondo, come chi sta controllando le emozioni. Parla con la voce ferma, appena un po’ più concitata del solito.
 
«Insomma, cerca di capire: ci hanno sequestrati! Siamo quattro giornalisti italiani». Con Claudio Monici sono trattenuti a forza anche Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera e Domenico Quirico della Stampa. «Ci ha assalito una banda di civili armati. Il nostro autista è stato fatto fuori. A noi hanno prelevato telefoni, computer e tutti gli effetti personali. Poi ci hanno passato ad alcuni militari, che ci hanno preso in consegna e ci tengono chiusi in questa casa».
L’ultimo contatto, prima della chiamata giunta in redazione pochi minuti prima delle 19, era stato ieri mattina alle 10 per concordare il reportage di giornata. Doveva essere il primo per il nostro collega partito lunedì diretto a Tunisi e giunto con un volo interno fino a Djerba. Un difficile transito superando il valico di Dehiba al confine tra Tunisia e Libia. Una lunga traversata su un fuoristrada fino a Zawiya, a un’ottantina di chilometri da Tripoli. «Incredibile la gentilezza, ci hanno fatto festa quando hanno saputo che eravamo italiani. Siamo ospiti di una famiglia», aveva detto martedì notte per telefono a un collega in Italia, appena arrivato. Erano circa le 23 in Libia, la mezzanotte da noi.
 
Libici in festa per la liberazione. Forse era sincera ospitalità in una terra di nessuno. O forse era già la premessa di una trappola.
 
Monici era già stato a Zawiya mesi fa, all’inizio della crisi. Doveva mandare il suo primo reportage ma con i colleghi con cui faceva pool, voleva anche dirigersi verso Tripoli. Stavano valutando le condizioni di sicurezza, come potersi muovere. Le sue intenzioni erano di raccontare del lungo viaggio nella notte e valutare poi come procedere verso Tripoli. Così alle 10, nel contatto con la redazione. Alle 10 e trenta una chiamata per rassicurare i familiari. Verso le 13 e trenta un appuntamento telefonico con la redazione, ma il suo satellitare, come quello dei colleghi, ha squillato a vuoto per tutto il pomeriggio.
 
Ma ieri mattina a Zawiya, all’apparenza, era tutto tranquillo. Poi, in un attimo, è scattata la trappola: «Ci siamo addentrati in una zona poco battuta, per fare il reportage. Lì siamo stati aggrediti. Avvisate le altre redazioni, chiamate l’unità di crisi della Farnesina e le nostre famiglie».Un contatto di non più di cinque minuti, dopo quasi dieci ore di isolamento: «Ho chiesto di poter telefonare, mi hanno lasciato chiamare da un loro telefono. Stiamo bene, ma qui fuori stanno combattendo. Non è vero che qui sono tutti in festa, fuori stanno sparando». L’Unità di crisi della Farnesina ha subito attivato i canali per una soluzione rapita. A sera il console di Bengasi, Guido De Sanctis, è riuscito a stabilire un contatto: i giornalisti sarebbero stati trasferiti in un appartamento a Tripoli tra Bab al-Aziziya e l’hotel Rixos. «Stanno bene» e sono stati anche rifocillati con acqua e cibo. Dalla finestra i quattro vedono il centro di Tripoli. A notte il secondo contatto: Quirico riesce a chiamare casa: «Stiamo bene, rassicurate le famiglie».
 
La notizia è subito rimbalzata in tutte le redazioni e l’Unione Europea, a sera, ha chiesto il rilascio immediato dei quattro giornalisti.
 
Il rapimento in un teatro di guerra, una eventualità che Claudio Monici, 53 anni compiuti domenica, aveva sfiorato più volte, sin dal primo importante servizio in Afghanistan, dal gennaio al marzo del 1988. Più volte in Medio Oriente e nei Balcani, nel 2003 a Baghdad aveva visto da vicino e assistito il gruppo dei sette giornalisti italiani prigionieri al Palestine.
 
Il 24 agosto, a Zawiya, è toccato in sorte anche a lui: quello che ogni reporter di guerra mette in conto, pur senza dirlo, ogni volta che parte.