UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Loach e il patriarca: «Uniti per la dignità»

Due diverse prospettive, lai­ca e religiosa, ma un unico sguardo sul mondo del la­voro: il Premio Bresson ricorda i di­soccupati, i precari e gli ultimi. Nell’occasione si stringo­no la mano il regista inglese Ken Loach e il patriarca di Venezia mon­signor Francesco Moraglia, per la prima volta alla Mostra del Cinema.
5 Settembre 2012
Due diverse prospettive, lai­ca e religiosa, ma un unico sguardo sul mondo del la­voro: il Premio Bresson ricorda i di­soccupati, i precari e gli ultimi. Con serenità, nell’occasione, si stringo­no la mano il regista inglese Ken Loach e il patriarca di Venezia mon­signor Francesco Moraglia, giunto per la prima volta alla Mostra del Cinema. Entrambi ricordano di es­sere sempre stati attenti al mondo delle povertà silenziose e delle lot­te operaie, dei senza tetto e degli ultimi della società, degli immigra­ti accolti o respinti, l’uno come ve­scovo della Chiesa (a La Spezia pri­ma e ora nell’operoso Veneto), l’al­tro come regista di cinema. E pro­prio alla classe operaia, negli anni della crisi mondiale sempre più lontana dal Paradiso, con la Parola del Vangelo o con le immagini sul­lo schermo, hanno dato voce, conforto, visibilità, accoglienza, un ruolo. «Per Ken Loach il cinema può ancora cambiare il mondo – ha det­to mons. Dario E. Viganò, presi­dente della Fondazione Ente dello Spettacolo che organizza la pre­miazione – può entrare in fabbrica e nelle periferie, nella marginalità e nella disperazione, per uscirne più forte e consapevole».
«Il cinema è un piccolo strumento nel grande mondo – gli risponde pacato l’artista, anche se nelle sue storie, quelle che scrive da cin­quanta anni, è davvero un guerrie­ro indomabile –. Un film va e vie­ne, da solo non può fare nulla, noi registi possiamo soltanto sollevare delle domande, a svilupparle ci de­vono pensare la società e la politi­ca. Io posso solo mostra­re solidarietà con le per­sone che lottano per un posto di lavoro e per la lo­ro sicurezza, con i colle­ghi cineasti che lottano, come in Iran, per la li­bertà di espressione, per i popoli che combattono contro i razzismi e le op­pressioni » aggiunge criti­cando anche lo stato d’I­sraele «ma non gli israe­liani ». «Sono stato, in fon­do, un privilegiato, per­ché ho potuto esprimere liberamente la mia opi­nione proprio attraverso il mezzo che preferisco, il cinema. Mantenendo quello che io ritengo fondamentale: un profilo umile». Quello che chiede anche il Patriarca a tutti gli operatori di buo­na volontà, registi compresi. «Con­sidero una lezione oltremodo op­portuna – precisa il vescovo – quel­la che ci propone una cinemato­grafia che, in modo costante, si a­dopera a illuminare umilmen­te la 'zona oscura' dell’uma­nità, come fa Ken Loach, al qua­le va tutta la mia gratitudine. Da sempre ha fatto entrare nel suo impegno di regista il riscatto de­gli 'ultimi', in particolare del lavoratori sfruttati, dei precari e degli immigrati alla ricerca di un lavoro e di un riscatto sociale». Premiarlo al Lido è un momento speciale. E Venezia è la città del dia­logo, della cultura e della Mostra del Cinema. Ma non solo. «Certo il cinema – precisa Moraglia – è cer­tamente oggi un veicolo maggiore per rinsaldare il dialogo tra le cul­ture e per la cultura del dialogo. Quindi penso che la Mostra sia pie­namente inserita in questo dna ve­neziano. Però, Venezia è anche fat­ta di Porto Marghera, di Mestre, di tante sofferenze per situazioni la­vorative in difficoltà, una Venezia dai volti plurimi». Quei volti che Ken Loach non ha mai nascosto e dimenticato. «Sotto il suo sguardo attento, pensieroso e partecipe, volti e vicende umane vengono ri­scritte e, ai nostri occhi, assumono una nuova dignità non legata al successo e al potere ma al recupe­ro dell’uomo e della sua dignità fondamentale. Con la possibilità di una redenzione».
Un invito alla collaborazione per raggiungere una meta comune: mi­gliorare l’uomo, crescere in uma­nità. «Non necessariamente – dice schietto Loach – questa collabora­zione tra cinema e Chiesa può in­staurarsi. La Chiesa, a mio avviso, nel corso della storia ha dimostra­to di avere molte facce: alcune vol­te è stata al fianco dei poveri e de­gli oppressi, ma altre volte ha asse­condato i poteri. Oggi, però, è il mo­mento di pensare a quello che ab­biamo in comune, a ciò che pos­siamo condividere». Soluzioni? «I politici che tipo di risposte posso­no dare? Soltanto questo conta: pianificare l’economia, difendere i diritti umani, proteggere l’am­biente ». Siamo entrati, forse, nel tempo della speranza. «Per me con­ta solo quella che si basa sul senso della realtà, sulla consapevolezza del modo col quale sia per noi dav­vero possibile cambiare le cose. La speranza che galleggia in un va­cuum non è speranza».