La facilità con cui tutto si può scrivere e diffondere online oscura il concetto di responsabilità personale che era tradizionalmente connesso con l’atto di 'pubblicare' qualcosa.
4 Luglio 2012
Il sasso nel Web A più riprese riemerge l’esigenzadi stabilire confini alla divulgazione di informazioni sul Web – blog e social network – quando feriscano la reputazione di persone mettendo in pubblico aspetti della loro vita privata desunti da indagini senza che ve ne siano ragioni fondate, cioè non attinenti alle procedure giudiziarie in corso. Tempo fa lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino ha prospettato l’urgenza di un intervento in questo senso. Tra le pratiche da sanzionare rientra a pieno titolo anche la pubblicità camuffata da informazione: l’uso mirato di notizie per esaltare o denigrare qualcuno allo scopo di trarne vantaggi commerciali o politici. Oltre alla dimensione etica, è importante rendersi conto che in queste prassi diffuse esiste una significativa componente tecnologica: nel mondo del Web la comunicazione è di per sé multicentrica e permanente come mai prima. Qualsiasi affermazione resta lì per sempre. È il caso (reale) di quel professionista che deve fare tuttora i conti con una notizia, pubblicata 15 anni fa, che ipotizzava un suo coinvolgimento in Mani Pulite. Fu poi prosciolto da ogni sospetto, ma qualche articolo apparso allora – oggi reperibile nel sito di un quotidiano – rimane cocciutamente in cima a qualsiasi ricerca sul suo nome fatta nel Web. La facilità con cui tutto si può scrivere e diffondere online oscura il concetto di responsabilità personale che era tradizionalmente connesso con l’atto di 'pubblicare' qualcosa. Sebbene da molti anni se ne discuta, non è ancora chiaro come concretamente arginare gli aspetti deteriori connessi a un fenomeno che, in sé, ha molti aspetti positivi: la democratizzazione del diritto di parola nell’epoca di Internet fa sì che ciascuno possa dire la sua e ascoltare chiunque altro. Simultaneamente si sviluppano iniziative 'tecnologiche' per abilitare la possibilità di esprimersi in forma anonima. Sulla scorta di iniziative come Wikileaks – il sito Web che ha pubblicato impunemente documenti riservatissimi e compromettenti a danno di persone e istituzioni di tutto il mondo –, qualcuno appronta software per fare in modo che si possa dire il peggio di chiunque senza esporsi e pagarne le conseguenze. La questione è complessa: conoscere certe verità è un bene. Ma sotto gli occhi di tutti sta il fatto che la maldicenza – si tratti di calunnia o di diffamazione – è oggi un’arma affilata che viene usata senza scrupoli per avvantaggiarsi in politica, nell’economia e in altri aspetti della vita sociale. Mescola spesso le colpe private, quelle 'politiche' e le responsabilità penali, inducendo nell’opinione pubblica giudizi che magari, alla lunga, si riveleranno piuttosto come pregiudizi. Bisognerebbe riflettere sul fatto che questo costume sia ormai diffuso a livello capillare. Se è vero che alcuni personaggi e agenzie ne fanno un uso 'professionale', è anche vero che sul proscenio della Rete è molto scarsa la consapevolezza del fatto che qualsiasi cosa si scriva online ha conseguenze durevoli e consistenti. Le aziende cominciano a rendersi conto che bastano le affermazioni negative di un singolo cliente per mettere a repentaglio – a ragione o a torto – l’immagine di una marca. E i casi di cyber-bullismo tra minori sono così ricorrenti da riguardare, secondo ricerche internazionali, addirittura un ragazzo su quattro. Non sono dissimili molti scandali pubblici: aggressioni in cui è facile nascondere la mano e scagliare sassi devastanti. Le risposte auspicabili sul piano normativo non sopperiscono alla necessità di una educazione sociale alla responsabilità in quelle enormi piazze che sono i 'luoghi' del Web. Che – non ci stancheremo di ripeterlo – non sono meno reali per il fatto di essere virtuali. Vanno socializzate a misura d’uomo affinché mantengano le loro molte funzioni positive nella vita civile senza scadere in clamorose violazioni del rispetto che i cittadini si devono l’un l’altro. Come sempre, non è una questione tecnologica: se il Web è una sorta di onnipresente altoparlante, sono le voci umane che vi risuonano. Devono restare tali. GIUSEPPE ROMANO