Che la Chiesa faccia notizia è innegabile. Lo dimostrano le cronache degli ultimi tempi, ma soprattutto eventi straordinari come la Giornata mondiale della gioventù che, nell’agosto scorso, ha radunato a Madrid due milioni di giovani. Proprio il ruolo della comunicazione nella manifestazione spagnola è stato lo spunto per una tavola rotonda, promossa dall’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede e dal Sovrano Ordine di Malta. Con uno sguardo generale al tema della responsabilità dei media e al modo di raccontare il mondo ecclesiale.
«La presenza della Chiesa sui media è soggetta a tutti i rischi che corre l’informazione: questa è la sfida e la realtà che incontriamo quotidianamente », ha evidenziato l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, che nell’introdurre i lavori ha voluto porsi delle domande. «Cosa fa notizia della Chiesa? E cosa è una notizia?», ha elencato mettendo in guardia dal rischio che si trasformi in notizia ciò che non lo è. «L’insufficiente diventa evento » ha rilevato infatti citando una frase del Faust di Goethe. «Guardando a certi articoli, ad alcuni interventi – e penso a quelli che in questi giorni hanno riguardato casa nostra – la domanda che sorge è: dove è la notizia?», ha sottolineato l’arcivescovo Celli. «Non invidio – ha confidato – il lavoro di un direttore di testata perché la realtà è complessa e i tempi sono disconnessi ». Nella sua analisi, il presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali ha ricordato «la sfida contro il tempo, la necessità di costruire una cornice sensata rispetto a ciò che accade nel mondo» così come «gli interessi economici e soprattutto politici, la cultura dominante della quale gli stessi giornalisti sono impregnati, il senso comune che i media contribuiscono a creare». Tuttavia, restano quelli che Celli ha definito «i gravi rischi dell’informazione ». Dai quali la Chiesa non è al riparo. C’è il pericolo appunto «dell’insignificante che diventa evento » in quanto «alcuni episodi non raggiungono la soglia della visibilità perché non toccano alcuni interessi, mentre altri sì». A questo si aggiunge quello delle rappresentazioni infedeli, quando «si parla – ha spiegato Celli – da un angolo di visuale ristretto, se non volontariamente riduttivo» e quello della strumentalizzazione nel momento in cui «si parla di una realtà e delle sue sfaccettature, spesso contraddittorie, non per farle conoscere, ma per dare una visione legata a particolari interessi». Secondo il presidente del dicastero vaticano, sebbene «viviamo in un contesto post moderno dove le micronarrazioni acquistano legittimità a fronte delle grandi narrazioni» bisognerebbe (e lo ha chiesto recentemente anche Benedetto XVI) parlare «non di tante cose, ma della fede della Chiesa di Roma». Quello che del resto è accaduto alla Gmg di Madrid, come è emerso dalle testimonianze di Antonio Gallo, responsabile delle Reti Sociali della Gmg, di Enric Juliana, direttore aggiunto de
La Vanguardia, Juan Rubio, direttore de
La Vita Nueva, Marco Ansaldo e Gian Guido Vecchi, vaticanisti de
la Repubblica e del
Corriere della Sera . Il grande incontro di Madrid ha avuto il merito di far conoscere al mondo la Spagna e «l’orgoglio dei giovani cristiani», di creare reti sociali che ancora continuano, di consentire una stretta collaborazione con il governo locale, di insegnare un nuovo linguaggio - più agile, più colorato, più immediato - per informare sulla Chiesa.