UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Media: collante
dell'identità comune.
Ma serve educazione

Oggi come allora, i media contribuiscono a 'fare gli italiani'. È quanto emerso il 6 ottobre, nella tavola rotonda con cui s’è aperto, a Torino, il corso nazionale di formazione sui media promosso dall’Aiart e dalla Cei. E' intervenuto anche Mons. Domenico Pompili.
7 Ottobre 2011
Oggi come allora, i media contribuiscono a 'fare gli italiani'. È quanto emerso il 6 ottobre, nella tavola rotonda con cui s’è aperto, a Valdocco, nel cuore salesiano di Torino, in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, il corso nazionale di formazione sui media promosso dall’Aiart (Associazione Spettatori Onlus) e dalla Cei, sul tema 'Quinto potere? Cultura digitale e nuovi scenari'. Un passo in più verso lo sforzo, che l’Aiart persegue con le sue tante attività, «verso una maggiore consapevolezza ad un uso critico dei media, per non subirne gli influssi negativi», spiega il presidente dell’Aiart, Luca Borgomeo. Il quale, due giorni fa, ha incontrato il direttore generale della Rai Lorenza Lei, che ha promesso maggiore attenzione nei contenuti per rispettare i bambini. «Vigileremo per far sì che l’impegno preso dalla Rai vada in onda per davvero», assicura Borgomeo.

Il corso, seguito da un’ottantina tra insegnanti, catechisti, studenti delle Facoltà di Comunicazione, operatori di pastorale familiare, animatori, si conclude sabato.
Da quando fu fatta l’Unità, «i media hanno cercato di ridurre lo scollamento che s’era creato tra elite culturale e cultura popolare, risultato di un’unificazione fatta a tavolino», ha sostenuto monsignor Domenico Pompili, vice segretario Cei e direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei (il testo è disponibile in allegato). «Anche oggi i media, pur avendo quasi perduto la funzione pedagogica che ad esempio avevano le trasmissioni Rai degli anni ’50, continuano a svolgere un ruolo nell’unità nazionale».
Pompili ha fatto riferimento ai nuovi linguaggi, che permettono «di convertire elementi problematici del nostro Paese in opportunità». La scarsa identità nazionale, ad esempio, ha il suo contraltare «nel bisogno di comunità, che in tanti cercano nei social network o, appunto, nelle community virtuali».
Al convegno hanno partecipato il direttore de La Stampa Mario Calabresi, il caporedattore di Avvenire Francesco Ognibene, il presidente dell’Unione cattolica della stampa italiana Andrea Melodia e il presidente della Federazione nazionale stampa italiana Roberto Natali. Ha portato il suo saluto anche l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, sottolineando il rischio che «il linguaggio virtuale faccia perdere il senso e il desiderio di prossimità, rendendo molto più superficiali e non raramente anche falsificati i rapporti. Come dicevo ai ragazzi del campo scuola, quest’estate, non tutti gli 'amici' su Facebook sono davvero amici». A proposito dei giovani, Nosiglia ha criticato l’uso dei minori in tv, che rischia di favorire nelle famiglie «la corsa ad assicurarsi un posto in prima fila in questo nuovo mercato esaltante, per accaparrarsi un successo di immagine dei figli, per trarne profitto o prospettive di un futuro 'radioso', cosa che il più delle volte non si realizza». Ricordando che ci sono già cliniche specializzate nel disintossicarsi dalla dipendenza da Internet, ha indicato infine la necessità di «un’azione educativa, che permetta di valutare il prodotto e i messaggi e gli influssi sul proprio pensiero e anima».