UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

No alle parole che uccidono

Crescono gli stereotipi, aumenta l’intolleranza, si moltiplicano gli atti di razzismo. Proprio per combattere i pregiudizi veicolati dal linguaggio è partita il 23 ottobre la campagna sociale voluta da Famiglia Cristiana con Avvenire e i 190 settimanali cattolici della Fisc. Si chiama «Anche le parole possono uccidere» ed è accompagnata dall’hashtag #migliorisipuò.
24 Ottobre 2014

Che le parole possano uccidere è una verità antica quanto la Bibbia. «Ne uccide più la lingua che la spada», ricorda il libro del Siracide. Vizio antico, duro a morire e pronto a colpire. Sì, perché ci sono parole che uccidono. Così chi fugge dalla guerra in Siria è un «clandestino». Punto. Chi è arriva dall’Africa per fuggire la miseria un «negro». Chi è rom è indiscutibilmente un «ladro». Chi non si conforma agli standard fisici di fotomodelle anoressiche e attori palestrati un «ciccione». Crescono gli stereotipi, aumenta l’intolleranza, si moltiplicano gli atti di razzismo. Proprio per combattere i pregiudizi veicolati dal linguaggio è partita il 23 ottobre la campagna sociale voluta da Famiglia Cristiana con Avvenire e i 190 settimanali cattolici della Fisc.
Si chiama «Anche le parole possono uccidere» ed è accompagnata dall’hashtag #migliorisipuò. Opera dell’agenzia Armando Testa, è diffusa sulle testate cattoliche e arriverà anche in 10mila scuole, parrocchie, oratori. Patrocinata dalla Camera e dal Senato, è stata presentata il 23 ottobre a Montecitorio da Laura Boldrini: «Una campagna di civiltà», l’ha definita la presidente della Camera. «È più facile cambiare una legge– ha aggiunto – che l’uso delle parole. Sul linguaggio non si deve sorvolare perché nasconde molto altro». Citando la Carta di Roma, il codice deontologico per i mass media in materia di immigrazione e asilo, Boldrini ha ricordato come spesso le parole siano usate impropriamente come sinonimi: clandestino, migrante, richiedente asilo, rifugiato. «Ognuna risponde a una connotazione giuridica ben chiara – ha sottolineato – e chiamare clandestino un rifugiato significa punirlo una seconda volta».
« Avvenire partecipa a questa campagna perché è la naturale prosecuzione del nostro modo di fare informazione”», ha detto il direttore Marco Tarquinio. «Oggi - sottolinea - c’è bisogno di una alfabetizzazione nuova sulle parole fondamentali. Purtroppo c’è un uso pervasivo, smodato di parole che uccidono. Nella stampa quotidiana in questi anni c’è stato un processo di involgarimento e di incattivimento: e che parole campeggiano sulle prima pagine dei giornali, con quale continuità e aggressività! Parole denigratorie e volgarissime sono transitate dalle intercettazioni telefoniche alle pagine dei giornali, e sono diventate titolo permanente per qualificare grandi leader come la signora Angela Merkel. Così si creano muri, si divide, si separa irreparabilmente ». Le quattro parole della campagna «toccano quattro nervi sensibili. Basti vedere il caso di Napoli o la categorizzazione di tutti i Rom: uno dei mali del nostro tempo – ha rilevato Tarquinio – è quello di rinchiudere le persone di un gruppo sociale dentro scatole. I giornali di ispirazione cristiana sono naturalmente con questa campagna perché stanno sempre dalla parte dei marginali. Usiamo parole che costruiscono, non quelle che uccidono».
«In questa direzione – ha detto il direttore di Famiglia Cristiana don Antonio Sciortino – ci dà un aiuto potente papa Francesco: parlare male di qualcuno, ci dice, equivale a venderlo, come fece Giuda con Gesù. Freniamo la lingua perché le parole sono pietre. Sull’immigrazione la stampa fornisce sempre un quadro di sicurezza e ordine pubblico, senza raccontare l’integrazione e la ri- sorsa che sono per l’economia e la demografia. Ma ora si torna scaricare sugli immigrati i mali della crisi».
Don Bruno Cescon, vicepresidente della Fisc, ha sottolineato come «un linguaggio neutro non esiste: le parole hanno sempre un significato e conducono da qualche parte. Scardinare pregiudizi e parole non è facile, a noi spetta il compito di sentirci corresponsabili e aiutare ad interpretare la realtà».