UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Nostalgia
di certi librai…

Serve ancora quel plu­svalore intellettuale di chi sta al bancone di una pic­cola libreria vecchio stile? A giudicare dalla testimonianza di Roberto Denti, 87 anni e da 40 titolare di una libreria per ragazzi, si direbbe proprio di sì. Ma al nostro Paese servono pure riforme che diano sostegno alla promozione della lettura nelle scuole e nelle biblioteche.
 
15 Febbraio 2012
« È sconfortante pensare che in Italia solo il 15 per cento degli adulti entrino in libreria» nota Roberto Denti in una delle interviste 'ai me­stieri del libro' raccolte dagli allievi del master in editoria dell’univer­sità di Pavia nel volume Artigiani di cultura. Per un titolo tanto azzecca­to non poteva esserci presentazio­ne migliore che una testimonianza, domani al Collegio Santa Caterina, del libraio e scrittore che sa Come far leggere i bambini, per citare un suo celebre libro di trent’anni fa, at­tuale ancora oggi in cui l’ottanta­settenne Denti festeggia l’anniver­sario di una scommessa vinta. In­fatti la sua libreria per ragazzi fon­data nel ’72 con la moglie Gianna Vitali, compie quarant’anni dimo­strando che c’è ancora spazio per una professione sempre più schiac­ciata tra internet bookshop e libri digitali senza carta. Visto che a par­tire da quest’anno, l’ha annunciato su queste colonne Giuliano Vigini dal suo osservatorio statistico, la maggioranza del fatturato editoria­le deriverà dalle librerie di catena, va segnalato che qui spesso i più e­conomici stagisti usano bene il computer ma conoscono poco gli scaffali, non sapendo consigliare il lettore. Eppure rischiano di sopraf­fare i piccoli librai di cultura sem­pre meno indipendenti e sempre più in crisi. C’è da chiedersi se la professione del libraio intellettuale, quasi una missione, sia una razza in estinzione e con quali conse­guenze. C’è da chiedersi se valga ancora l’immagine di Stefano Ben­ni secondo cui «lo scrittore è l’arco, il libro è la freccia, il cliente è la mela e allora il libraio è quello che tiene in testa la mela»? Certo un esempio come Denti aiuta a credere in un lavoro dove non con­tano solo tabelle, rese, as­soluti speciali o sell out, bu­siness plan o franchising. E mentre è annunciato dal­l’editrice Bibliografica la nuova edizione di un ma­nuale per Aprire una libre­ria nonostante l’e-book, scritto da Giovanni Peresson del­l’Aie e Alberto Galla, erede di una delle librerie storiche di Vicenza, re­sta valida l’idea di «rendere i libri materia viva» di un altro mitico e­sponente della categoria, il feltri­nelliano (ora Coop) Romano Mon­troni: Vendere l’anima s’intitola un suo libro di Laterza dove avverte che bisogna saper «commercializ­zare i valori», appunto il bene im­materiale della parola che sta den­tro la materialità dei libri. Per librai così l’aspetto intellettuale conta molto perché «il libro è ancora il mezzo migliore per far circolare le idee e la libreria il luogo del vender­le». Il segreto sarebbe puntare non solo sulla merceologia ma so­prattutto sul far «fare un’espe­rienza » al cliente-lettore, con sele­zioni tematiche, servizi personaliz­zati, divani per la lettura, bar e vi­neria… Non è facile, ma Montroni cita Chaplin: «Più che di macchine, l’uomo ha bisogno di umanità», an­che in libreria. Roberto Denti, li­braio da «ventimila libri sotto il na­so», a suo tempo ha scelto per pri­mo di esporre i volumi di copertina e non di costa, perché il mestiere non può che nascere dalla prepara­zione culturale e dall’amore per i li­bri. Da questa passione, coltivata da giovane nella sua Cremona e an­che in carcere durante la guerra e la Resistenza, è nato l’amore per Gianna, incontrata durante un viaggio in Mongolia parlando a ta­vola di Cent’anni di solitudine, e da lì, al rientro, è venuto il progetto della prima libreria italiana in un settore di testi per bambini che sembrava si vendessero solo a Na­tale e per le Comunioni. Ma Denti ha anche conosciuto Gianni Roda­ri, quand’erano entrambi giovani giornalisti, e dall’autore della Grammatica della fantasia ha im­parato che per i piccoli «il verbo leggere non prevede mai l’imperati­vo ». Ora la sua libreria milanese è stata rilevata dal Castoro ma resta indipendente rispetto alle grandi catene di supermercati librari in un periodo in cui su un blog si plaude ad autori che diventano librai e vi­ceversa (come Giuseppe Culicchia) e su un altro si stigmatizzano «scrit­tori che su Facebook fanno pubbli­cità agli sconti di Amazon». È co­munque crisi per le librerie della penisola, per esempio con la situa­zione tragica di Firenze tra ex-Mar­zocco chiusa ed Edison sfrattata, senza dimenticare una libreria sto­rica come Croce a Roma: quando rischia la chiusura c’è chi scrive, sul Corriere, che non è grave la chiusu­ra di una libreria di tradizione, «al massimo può servire come attra­zione turistica, un po’ come i giri in carrozzella o i ragazzotti trasvestiti da gladiatori…». E in Sardegna l’Sos è lanciato da Michela Murgia sul suo blog, nella convinzione che le librerie indipendenti sono una «ri­sorsa pubblica» la cui scomparsa è «gravissimo danno alla comunità».
Eppure librai indipendenti e intel­lettuali resistono: dal pugliese Roc­co Pinto a Torino, che con un colle­ga ha scritto un libro sulla comme­dia degli equivoci in questo settore, alla tradizione antiquaria della na­poletana Colonnese che accoglie i lettori con la citazione di Mallarmè secondo cui «tutto al mondo esiste per entrare in un libro» e che per questo si fa anche editore in pro­prio, come altri da Milano a Paler­mo ma sempre con minori spazi di manovra. La caccia al best seller, il turn over rapidissimo delle novità, gli sconti non sempre equi e il fascino dei contenuti sempre più liquidi (per Denti «non una minac­cia al libro se lo si continua a usa­re ») favoriscono i megastore com­merciali più tecnologicamente e­voluti e soprattutto gli enormi bookshop on line che offrono tutto in modo apparentemente demo­cratico, ma senza selezione e sen­za un giudizio di valore. È proprio questo il criterio intellettuale di cui non possiamo fare a meno, grazie a chi fa da filtro e valorizza la cultura, facendo crescere i letto­ri e creando così un benessere so­ciale contro quell’omologazione da iperstore che vanifica la ricerca di identità costruita dagli editori nel corso del Novecento, come scrive Benedetta Centovalli pre­sentando il libro di interviste.
Allora serve ancora quel plu­svalore intellettuale di chi sta al bancone di una pic­cola libreria vecchio stile? L’augurio è che la categoria non sia in estin­zione. Occorre capire i processi che mutano un mestiere tanto utile, rendersi conto che il problema del­le librerie, come dell’intera filiera e­ditoriale, è innanzi tutto sociale ol­tre che economico e culturale. Cer­to di librai come Denti, che sono intellettuali che vendono, formano i lettori ma sanno anche scrivere li­bri (per restare nell’ambito dei ra­gazzi, pensiamo alla torinese Anna Parola o alle bolognesi della Gian­nino Stoppani), la cultura di questo Paese ha sempre più bisogno. Allo stesso modo ha bisogno di riforme che non congelino indifferente­mente solo il prezzo del libro ma diano sostegno, non solo a parole, alla promozione della lettura nelle scuole e nelle biblioteche, dove spesso si respira aria di stantìo.