UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Nuovo delitto mediatico

La riorganizzazione digitale delle frequenze tv si sta rivelando,anziché un'occasione di pluralismo, una trappola letale per tante tv espressione della provincia italiana e mol­tissime di quelle preziose “emittenti di co­munità” che sono state promosse negli ul­timi trent’anni soprattutto dai cattolici.
1 Agosto 2011
Ci avevano raccontato la tv digitale ter­restre come una nuova e bella occa­sione di pluralismo. Come il passaggio da un etere che si era fatto sempre più stret­to (per un certo caos d’origine e per lo stra­ripante prepotere dei ben noti giganti del traliccio analogico e del satellite) a uno spa­zio ordinato eppure abitabile da tanti. Cer­to abitabile anche da tutti coloro che ave­vano saputo “fare tv” con spiccato spirito di servizio al proprio territorio e – udite, u­dite – persino “per volontariato”, cioè pen­sando prima di tutto alla propria gente e coltivando l’idea di una missione cultura­le da assolvere e, poi, solo poi ed even­tualmente, pensando anche al business.
Stiamo prendendo atto che non è così, che – per come sono state impostate le cose da Ministero e Agenzia – la logica del prepo­tere (e delle prenotazione delle fette di tor­ta) appare purtroppo sempre la stessa. Stia­mo registrando che la riorganizzazione di­gitale è diventata – quasi inesorabilmente, in questi tempi di crisi – anche un’occa­sione per lo Stato di “fare cassa” (piazzan­do spicchi di torta a compagnie telefoni­che) e che il conto non è affatto diviso in parti uguali e che, anzi – secondo quella che sembra diventata la strana regola del­­l’Italia del 2011 –, pagherà di più chi ha di meno. Stiamo, insomma, scoprendo che anche in questa complessa storia ci sono delle vittime designate e che, guarda caso, queste vittime sacrificali sono ancora una volta i più piccoli, i più disinteressati (e de­diti), i più apparentemente deboli: tante tv espressione della provincia italiana e mol­tissime di quelle preziose “emittenti di co­munità” che sono state promosse negli ul­timi trent’anni soprattutto (ma non solo) da cattolici.
Si annuncia una vera Tele–Mattanza, e noi non ci stiamo a vederla consumare in si­lenzio, nel cuore vacanziero d’agosto (i bandi per l’assegnazione delle frequenze sono in arrivo proprio in questi giorni…) e nella distrazione dei più. Ovviamente, razionalizzare si può e – per certi versi – si deve. Ma lascia di stucco che tra i criteri fissati per “salvare” la frequen­za di una tv non ci sia la forza della stessa tv presso il pubblico dell’area servita. Nul­la conta, in pratica, che un’emittente loca­le sia molto o poco seguita, conta che ab­bia patrimonio e che guadagni. E così una realtà televisiva senza peso, ma che ha si­nora fatto reddito (persino abbondante) affittando i propri impianti ad altre emit­tenti può farcela a restare in campo da pa­drona in casa propria, mentre un tv signi­ficativa per ascolti e incisiva per qualità dei programmi, ma magari fatta soprattutto per passione civile e informativa, corre pe­santemente il rischio e ha la quasi certez­za di essere sfrattata, di doversi trovare un oneroso affitto o di sparire. Una vera, in­sopportabile, ingiustizia.
Ovviamente, nessuno pensa che sia giusto umiliare ruolo e investimenti dei grandi network. Ma si resta sbalorditi nel consta­tare che ai “big” – Rai, Mediaset e Telecom – non viene solo garantito ciò che già han­no, ma è addirittura assicurato spazio di­gitale in più. Alla fin fine – manco a dirlo – a spese dei piccoli, secondo quegli ingiu­sti criteri che abbiamo appena richiama­to e che sono spiegati a dovere nell’in­chiesta giornalistica che Avvenire cominciamo a pubblicare alle pagine 4 e 5 di domenica 31 luglio (cfr. allegati).
Ma c’è qualcuno – premier, ministro, ga­rante, editore, sindacalista o esperto – che pensa di poter spiegare non soltanto a tut­ti coloro che sono minacciati dalla Tele– Mattanza ma all’intera opinione pubblica italiana perché mai ruolo e investimenti delle piccole e serie tv varrebbero meno di quelli dei grandi gruppi televisivi? C’è qual­cuno che se la sente di difendere questa strana idea di maggior pluralismo che si concreta nell’ulteriore straripare delle su­perpotenze televisive e nella penalizzazio­ne delle autentiche voci tv del territorio?
Poco più di un anno fa, Avvenire sollevò il caso del “Delitto mediatico”, lo strangola­mento con una feroce manovra sulle tarif­fe postali della stampa del territorio, delle testate nazionali con molti abbonati, del­le piccole case editrici. Si arrivò a una ri­duzione del danno (con problemi ancora lontani dall’esser risolti). Oggi ci ritrovia­mo al cospetto di un processo analogo che tocca il mondo delle tv. Verrebbe da pen­sare a un piano preordinato. Ma forse è so­lo un caso. E allora ci si dia da fare per ri­solverlo. A chi giova, e chi premedita, la Te­le– Mattanza?