«L’unica storia che conta è una storia vera». Lapidaria e solo apparentemente scontata la sintesi di Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore, ospite all’incontro del vescovo di Padova Antonio Mattiazzo con la stampa, sabato 22 gennaio, in occasione della festa di san Francesco di Sales patrono dei giornalisti. Un appuntamento sul tema «Informazione e verità nell’era digitale» (adattando il titolo del messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali), iniziato con un ricordo per la prematura scomparsa della collega del Tg1 Laura Mambelli.
Il mondo dell’informazione è cambiato in fretta – solo tre anni fa non si sapeva cosa fossero i social network, Twitter ha poco meno di due anni di vita, nel 2009 la parola i-Pad rappresentava ancora un’ipotesi – eppure oggi solo Facebook coinvolge mezzo miliardo di persone; idealmente la terza nazione del mondo. È con questo panorama che ci si confronta – sottolinea Riotta che, se è ricordato per essere il primo giornalista ad aver aperto un blog, va più fiero di essere il primo ad averlo chiuso, per evitare di vivere in un mondo a sé o per pochi intimi. No all’isolamento tecnologico quindi; sì alla ricerca della verità ancora e sempre secondo i valori della giustizia, della libertà, dell’obiettività e dell’equilibrio anche nel veloce mondo digitale, dove le verità possono essere molte, facilmente costruite, ma altrettanto facilmente smascherate.
L’unica direzione che conta è la verità, ed è l’evangelista Giovanni a ricordarlo: «Voi conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8 ,32). Una lezione che vale al di là della fede e che trova riscontri storici anche solo guardando il secolo scorso e le grandi dittature, là dove i fattori comuni sono stati la limitazione della libertà di stampa, di pensiero, di religione. Ma chi stabilisce e garantisce la verità? Domande cogenti, che richiamano il rischio di due derive possibili, sottolinea Gianni Riotta: il controllo della verità – mentre il giornalista è chiamato a testimoniare – e il relativismo a discapito dello spirito critico. Ed è sempre Giovanni, dice Riotta, a rammentarlo: «Gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce» (Gv 3 ,19). Le tenebre del qualunquismo o del «personal media» del XXI secolo – come Riotta identifica la realtà odierna – rappresentano i rischi di oggi: un’epoca in cui è cambiata la dinamica del processo informativo, che non parte più dai fatti ma «prima forma le opinioni e poi cerca le evidenze».
Che fare? «Rimane il nostro dovere di andare a riconoscere la verità – afferma il direttore del Sole –. Il compito degli uomini di buona volontà è battersi contro la deriva relativista. Dobbiamo essere pronti ad abbracciare qualunque innovazione tecnologica, ma con il coraggio dei grandi valori della nostra professione», perché non è vero che «se ci sono nuovi mezzi ci sono anche nuovi valori». Una posizione sottoscritta dal vescovo Mattiazzo che ha evocato il rischio della verità di essere subordinata ai poteri forti e il pericolo conseguente di una democrazia falsificata