UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Perché il Web
non può uccidere i libri

Sulle future sorti della carta stampata, e soprattutto del libro, si discute ormai da molto, e spesso con apprensione, con il timore che questo bellissimo strumento possa essere, in un futuro tutt’altro che lontano, definitivamente soppiantato.
7 Giugno 2011
Sulle future sorti della carta stampata, e soprattutto del libro, si discute ormai da molto, e spesso con apprensione, con il timore che questo bellissimo strumento possa essere, in un futuro tutt’altro che lontano, definitivamente soppiantato. Utile, allora, affidarsi ai ragionamenti di un esperto come l’americano Robert Darnton, grande storico del libro e direttore del sistema bibliotecario di Harvard, ieri ospite al secondo Forum mondiale Unesco sul futuro del libro, che si chiude oggi a Villa Reale a Monza.

 
Esce ora da Adelphi la raccolta di una serie di suoi interventi sul tema, intitolata appunto 'Il futuro del libro' (pagine 280, euro 24,00), dove troviamo, tra l’altro, un’osservazione molto importante, soprattutto per i numerosissimi trepidanti al pensiero della possibile scomparsa dell’oggetto­libro: «Un medium non ne scalza un altro, almeno nel breve termine». Certo, nei tempi lunghi o lunghissimi le cose possono cambiare anche radicalmente; intanto è chiario che «ciascuna modificazione della tecnologia ha trasformato il paesaggio dell’informazione». Fino al punto che la realtà virtuale, riesce, paradossalmente, quasi a sostituire la realtà reale: «I blog creano le notizie e le notizie possono assumere la forma di realtà testuale che batte la realtà che abbiamo sotto il naso».
Però Darnton ci ricorda, per esempio, che Bill Gates, nientemeno, afferma una personale, netta preferenza per la carta stampata rispetto allo schermo del computer. Dice infatti Gates: «La lettura a video rimane un surrogato di molto inferiore rispetto alla lettura sul cartaceo.
Perfino io, che posseggo schermi ultracostosi e mi vanto di essere un pioniere dello stile di vita incentrato sul web, se devo leggere testi che superano le quattro o cinque pagine, me li stampo, perché mi piace averli con me e scriverci sopra i miei commenti».
Strano? Forse. Resta il fatto che, verosimilmente, le due realtà potranno a lungo convivere. E va comunque osservato che l’oggetto-libro è pur sempre uno strumento (per quanto bello o impareggiabile sia) e tali erano stati in precedenza i rotoli prima dell’avvento dei codici, prima dell’invenzione di Gutenberg.
Dopo tutto, il libro (di cui pure ogni uomo davvero civile non può non essere innamorato…) è, in effetti, qualcosa come una casa in affitto per il testo; vale a dire un elemento al servizio del testo, il quale rimane la vera sostanza, la vera cosa che l’oggetto-libro accoglie e aiuta a trasmettere.
Certo, come dice Bill Gates, la lettura davanti a uno schermo può ben essere poco agevole. E, come precisa Darnton, «col tempo i bit si degradano» e «i documenti potrebbero andare smarriti nel cyberspazio a causa dell’obsolescenza del formato in cui sono codificati». Insomma, siamo pur sempre alle prese con umani strumenti, tecnologicamente avanzati o meno, ma pur sempre strumenti.
Case in affitto variamente confortevoli, ma che pure non dovrebbero poter avere un’incidenza decisiva su ciò che contengono. Personalmente tenderei a preoccuparmi, più che dell’oggetto in sé – che rischia di diventare un feticcio – di ciò che l’oggetto trasmette. Cartaceo o elettronico, il libro dovrebbe continuare a essere opera dell’ingegno autentico e il suo fruitore dovrebbe sapersi rendere molto più esigente di quanto oggi appaia, e dunque respingere convinto le caterve di 'non-libri' proposti sotto la nobile forma del libro. Perché, comunque sia, non è certo l’abito che fa il vero libro…