UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Quei bambini proiettati nella realtà virtuale

Si moltiplicano i programmi dove i bambini sono protagonisti. Rai, Mediaset e canali satellitari sembrano fare a gara per accaparrarsi piccoli talenti da esporre in scena per commuovere un’audience dai gusti sempre più facili e prevedibili.
9 Novembre 2010
Si moltiplicano i programmi dove i bambini sono protagonisti. Rai, Mediaset e canali satellitari sembrano fare a gara per accaparrarsi piccoli talenti da esporre in scena per commuovere un’audience dai gusti sempre più facili e prevedibili. Tutto ciò è davanti agli occhi di ognuno.
Meno noti, ma nella stessa direzione, sono invece i risultati di un recente studio commissionato da Avg, società specializzata nella sicurezza informatica, sulla presenza dei piccolissimi nel web. Dal campione di mamme intervistate nel mondo è emerso che l’81% dei bimbi sotto i due anni è già in qualche modo esposto in rete (con foto o filmati); negli Usa il dato arriva al 92%, mentre in Italia si assesta sul 68%. Il 24% dei neonati americani è addirittura in Internet prima di nascere, grazie al sollecito inserimento di video e immagini ecografiche in pagine Facebook. Poco consola che in Italia parliamo di 'solo' il 14% dei casi. Essere visibili per esistere. Ed esistere per avere (un certo tipo di) successo. Sembra che in entrambi i casi sia questa la logica 'educativa' prevalente in tanti genitori.
Educare è invece introdurre alla realtà e nella realtà. Senza dimenticare che il mondo dei bambini, specie quelli piccoli, non prescinde mai dalla materia. Prima che la terra diventi Terra, non è altro che quella polvere scura in cui si piantano i semi e si ripete la magia del fiore che spunta. Prima che i soldi diventino Soldi, non sono altro che le monete regalate dalla nonna per comprare il gelato. È al reale che vanno innanzitutto introdotti i bambini, non alla realtà virtuale. Per questo motivo vengono subito presentati alla compagnia di amici e parenti quando nascono. Nessun provincialismo: non si tratta affatto di un atto privato dato che quegli adulti particolari diventano rappresentanti dell’Universo di tutti gli altri. Esattamente come un Battesimo celebrato in una parrocchia periferica coincide con la presentazione del bambino alla Chiesa intera. Perdere il senso e il valore, ossia il potere, della realtà fino alla tentazione di smaterializzare l’altro nell’etere o lungo le fibre ottiche testimonia l’insoddisfazione dell’adulto per la sua condizione esistenziale. In fin dei conti, voler rendere il figlio famoso, ossia visibile e riconoscibile dai più, rappresenta pur sempre una soluzione, seppur diseconomica. Diseconomica perché magari genera denaro, ma raramente ricchezza della persona.
Che cos’è infatti il successo di un bambino se non la riuscita nei suoi rapporti e il saper prendere iniziativa nella realtà? Non è certo il bel voto a scuola, né essere sempre ordinato né tantomeno esibirsi di fronte al vasto pubblico. È invece allearsi con la maestra per conoscere di più, è desiderare di collezionare i francobolli del Kenia perché li ha visti a casa di un amico, è crollare addormentato a fine giornata quando proprio non ce la fa più, è mangiare di tutto sapendo riconoscere ciò che preferisce.
Rispetto ai figli, in quanto adulti, rischiamo di guardare troppo lontano restando ciechi di fronte a ciò che abbiamo davanti agli occhi. Ogni bimbo, infatti, è già famoso, presso chi si prende cura di lui e presso coloro da cui si fa voler bene. E prima di avere successo, ogni bimbo è già un successo: essere nato significa che qualcuno ha fatto in modo che potesse esistere. È successo, nel senso che è accaduto e accade in ogni istante.
Meglio tornare a guardare i nostri piccoli con la certezza che non c’è bisogno di aggiungere niente; a noi solamente il compito di sostenerli e permettere che si esprimano con la libertà che è loro propria.
Il resto è puro supplemento.