UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Roma: quando la bellezza mostra Dio

Un tema par­ticolarmente impegnativo quello del quale si è dibattuto, peraltro con grande efficacia e­vocativa, sabato 14 gennaio nel Palazzo Apostolico di San Giovanni in Laterano, sede del Vicaria­to, nel convegno «Sulla via della bellezza per una nuova evangelizzazione»...
10 Gennaio 2012
«Benedite opere tutte il Signore...». Il primo versetto del Cantico dei tre giovani nella fornace (Da­niele 3,57-88). Il simbolo della gioia dell’uo­mo di fronte alla visione mistica del trascen­dente. L’architetto Paolo Portoghesi lo ha in­dicato come il risultato di un’opera d’arte sa­cra che ha centrato il suo obiettivo. Quando una chiesa nella sua architettura, nelle sue o­pere d’arte, nella capacità di creare silenzio si rende capace di accostare l’uomo alla pre­ghiera, «ecco allora che in questa oasi rita­gliata nel fragore della città, si può udire il can­tico dei giovani nella fornace». Quel canto che esce dal cuore di ogni uomo ogni volta che davanti a lui il bene e la bellezza trionfano di fronte alle brutture del male. Un compito, quello dell’architettura e dell’arte sacra, che per Portoghesi può essere esteso a tutta l’ar­te, «capace di esprimere una bellezza vera, non illusoria o autoreferenziale», in quanto è proprio «dell’arte e degli artisti rendere visi­bile l’invisibile, parlando a tutti», indicando le vere sembianze del volto di Dio. Un tema par­ticolarmente impegnativo quello del quale si è dibattuto, peraltro con grande efficacia e­vocativa, sabato 14 gennaio nel Palazzo Apostolico di San Giovanni in Laterano, sede del Vicaria­to, nel convegno «Sulla via della bellezza per una nuova evangelizzazione», al quale hanno partecipato, oltre a Portoghesi, l’arcivescovo Salvatore Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova e­vangelizzazione, e il direttore di Avvenire Mar­co Tarquinio, coordinati dalla giornalista di Mediaset Marina Ricci. Sullo sfondo, fin dal­la relazione dell’arcivescovo Fisichella, che ha aperto l’incontro, la domanda che Dostoev­skij mette sulle labbra di Dmitrij Karamazov: «Quale bellezza salverà il mondo?». E Fisi­chella ha sottolineato quanto sia stata gran­de nei secoli l’azione della Chiesa in favore dell’arte, e come questo dialogo fra fede e cul­tura sia stato capace delle più grandi realiz­zazioni artistiche di tutti i tempi. In termini di trasmissione della fede, «la Chiesa stessa de­ve molto agli artisti, a quelli del passato e a quelli che verranno». Da qui la citazione di Paolino di Nola, che già nel 406 sottolineava: «Per me l’unica arte è la fede e Cristo la mia poesia». Del resto, ha aggiunto Fisichella, «se teniamo Cristo come ispiratore, l’arte anima­ta dalla fede può raggiungere vette altissime». Come in Gaudí e nella sua Sagrada Familia, più volte evocata da Fisichella, «non per nien­te Gaudí è servo di Dio... quando invece gli ar­chitetti di tante chiese contemporanee han­no tolto il tabernacolo dal centro e hanno messo la sedia del prete che presiede... e que­sto non c’entra col Concilio, questa è ideolo­gia ». È il dialogo sulla via del­la bellezza, come frutto e so­strato della nuova evangeliz­zazione. Quella bellezza che i due discepoli vanno risco­prendo sulla strada di Em­maus. E che i mass media hanno il dovere di promuo­vere oltre che insegnare a ri­conoscere. Cosa che solita­mente nel panorama nazio­nale e internazionale dei media laici non ac­cade, perché, ha spiegato Marco Tarquinio, «presi nel vortice delle tre 'S' (soldi, sangue e sesso) esprimono una sorta di compiaci­mento nei confronti di ciò che è male, di quel­la grande e compiaciuta menzogna che fini­sce per infangare ogni episodio di cronaca, scavando impietosamente e torbidamente nella vita di uomini e donne, così che la cro­naca nera diventa ancora più nera non la­sciando alcuno spiraglio alla luce, alla spe­ranza ». Ecco allora l’importanza di giornali che come Avvenire, ha detto Tarquinio, si sfor­zano di raccontare la realtà vera delle perso­ne, con i loro errori, le loro ansie, con la loro vita di tutti i giorni fatta di grandi e piccole realizzazioni, che non trovano mai spazio sui giornali, perché bellezza e bontà non fanno notizia. «Se fatto in questo modo, il lavoro del giornalista serve a costrui­re, non a distruggere, serve a generare solidarietà, nuova u­manità, voglia di crescere. U­na cronaca positiva che non trova spazio sui giornali per­ché, ne sono convinto, non si vuole che trovi ascolto. È qui, nei media, che si consuma, così come nel­­l’arte, la grande battaglia fra il bene e il male, fra Dio e il demonio. Nell’arte cristiana il ve­ro volto degli umili è sempre stato utilizzato, da tutti i grandi artisti, per rappresentare le sembianze di Cristo. Quale dramma per cer­ta arte e troppi media contemporanei la spa­rizione del volto».