Ognuno, beninteso, può avere il proprio parere sulle cose, può avere i propri gusti. Ma ogni dimensione del reale esige conoscenza, competenze specifiche perché un parere abbia valore, sia degno d’essere espresso oltre le mura domestiche, e infine reso pubblico – «pubblicato». Chi pensa di poter dire la sua su tutto è insieme ingenuo e arrogante. Quando poi si arriva alla sintesi estrema del «mi piace» o «non mi piace», si passa dall’arroganza all’idiozia. D’altra parte è un po’ come per la smania di pubblicare per pubblicare. Chi pubblica si assume la responsabilità di ciò che pubblica, compreso quella di fornire al mondo un documento tangibile, una prova reale di stupidità o sprovvedutezza.
Troppo spesso, dunque, la piazza virtuale (alla quale è ben preferibile il suo modello, cioè la piazza di paese dove i pensionati si incontrano a parlare e litigare di politica e sport) si presenta come un luogo senza confini in cui prevale il desiderio, la velleità meglio ancora, di mettersi in mostra, di uscire da una condizione anonima. Anche se è vero che molti pavidi incivili usano proprio mascherarsi dietro pseudonimi o proporsi anonimi per sparare le loro scemenze velenose.
Proprio per questo, pur con tutti gli elementi positivi che comporta, la dimensione on line assume complessivamente l’aspetto di un immenso magma ribollente e maleodorante, dove le proposte valide vengono neutralizzate e occultate da un diluvio di vane chiacchiere autoreferenziali. Una rete sociale puramente illusoria, dunque, che rende sempre più forte, anche per chi non ne sia consapevole, quella nostalgia di realtà che è tipica del nostro tempo.