Il braccio di ferro fra tv locali e governo è a un passo dalle aule di tribunale. Dopo il taglio di nove frequenze, le emittenti sono pronte a rivolgersi alla magistratura per rallentare la digitalizzazione dell’Italia che azzoppa le «piccole». Una sorta di «class action» delle locali che l’Aeranti-Corallo – associazione che rappresenta 320 imprese televisive – ha prospettato ad Ancona, durante l’incontro con i vertici delle reti che vanno in onda nelle regioni del Centro Italia dove il passaggio alla nuova tecnologia avverrà entro fine anno.
Il coordinatore dell’associazione, l’avvocato Marco Rossignoli, le chiama «iniziative giudiziarie di tutela» e investiranno il Tar del Lazio. Il primo ricorso contro la «mattanza» punta a riconquistare almeno uno dei nove canali tolti alle tv. Infatti le frequenze che sono state dirottate alla larga banda mobile non comprendono il canale 65. Uno «spazio» destinato a restare vuoto che per le locali potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno nell’affollato etere della Penisola dove non c’è posto per tutte le reti che oggi trasmettono. Da qui l’idea di chiedere l’annullamento del provvedimento che sottrae il «65» al sistema radiotelevisivo.
L’altro ricorso ha come obiettivo quello di cancellare il documento che disegna la tv digitale nel Centro Italia: è il piano delle frequenze che, secondo le «piccole», non rispetta la «riserva indiana» di un terzo dell’etere per le locali. Sulla carta la soglia è garantita, ma le interferenze che arrivano da Francia e Corsica rendono inutilizzabili parte dei canali assegnati alle locali. Lo si comprende da quanto scrive l’Agcom quando impone che sette delle diciotto frequenze di Toscana e Liguria non potranno essere attivate in alcune postazioni strategiche come il Monte Serra (che fa entrare la tv nelle case di Pisa e Lucca), il Monte Bignone (che illumina gli schermi della Liguria di ponente) o il Monte Argentario (che consente di trasmettere sulla costa toscana). «Di fatto – sostiene Rossignoli – restano appena undici canali di qualità per le locali».
La terza azione legale in cantiere è quella che, almeno in linea teorica, avrebbe effetti deflagranti. Le tv chiederanno che siano annullati i bandi – il primo è uscito mercoledì e riguarda la Liguria – per stilate le graduatorie delle emittenti che potranno mantenere le antenne. Non piace la prospettiva della gara fra «piccole» che viene vista come una guerra fra poveri per sapere chi sarà salvo. E, giocando proprio su questo elemento, verrebbe bloccato l’intero percorso contestato dalle locali. Nel ricorso ai giudici amministrativi gli editori proporranno anche di chiamare in causa la Corte costituzionale che dovrebbe valutare la legittimità della novità introdotta dalla manovra economica di luglio: è quella secondo la quale il Tar del Lazio non potrà impedire lo spegnimento dei ripetitori che occupano le nove frequenze «espropriate », ma al massimo concederà un risarcimento alle reti che dovranno fare un passo indietro. L’ultima appendice giudiziaria ha al centro il telecomando. E stavolta non in polemica col legislatore. Anzi, l’Aeranti-Corallo difenderà davanti al Consiglio di Stato a fine agosto la numerazione automatica dei canali tv che i giudici di primo grado hanno azzerato perché «non rispetta le abitudini» del telespettatore.