UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Una fede modello Twitter

Continuano gli approfondimenti proposti da Avvenire in vista del Convegno nazionale "Testimoni digitali" (Roma, 22-24 aprile 2010). Andrea Galli ha intervistato la studiosa del rapporto tra web e religioni Paulina H. Cheong.
9 Aprile 2010
Continuano gli approfondimenti proposti da Avvenire in vista di "Testimoni digitali". Andrea Galli ha intervistato la studiosa del rapporto tra web e religioni Paulina H. Cheong.
 
Una fede modello Twitter
di Andrea Galli
 
La linea tra il faceto e il serio può essere molto sottile. «In cosa credi? Fai una di­chiarazione di fede in 140 carat­teri» è una delle sfide che sono state lanciate tempo fa su Twit­ter, col nome di 'Twitter of Faith', e che ha generato una valanga di risposte. Tra cui si po­tevano trovare «alcune sintesi di verità teologiche efficacissime, in frasi memorabili» , spiega Paulina Hope Cheong, docente alla Hugh Downs School of Hu­man Communication dell’Uni­versità dell’Arizona e che si oc­cupa del rapporto tra cultura di­gitale e fedi religiose. 
 Pensando al microblogging, di cui Twitter è sicuramente il simbolo, fede e vita ecclesiale non vengono in mente come primo campo di applicazio­ne... 
 «I cristiani evangelici stanno sviluppando in modo frenetico simboli e contenuti ' cinguettio' per in­centivare la condivi­sione, la moltiplica­zione e la ricerca di contenuti di fede online. Twitter è un nuovo mezzo per comuni­care e rimanere interconnessi attraverso lo scambio di fre­quenti e brevi risposte a una do­manda: ' Cosa stai facendo?'. Al­cuni evangelici, appunto, stan­no sfruttando questo flusso di messaggi per rafforzare le pro­prie comunità attraverso una forma di preghiera sincronizza­ta. Il Calvin Institute of Chri­stian Worship, per esempio, ha creato una pagina su Twitter con l’inserimento automatico e con­tinuo di materiale per la pre­ghiera delle ore, un’idea ispirata al 'pregate ininterrottamente' della prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi. Alcuni leader reli­giosi stanno utilizzando Twitter per avere un riscontro dei loro sermoni domenicali. Alcuni lo usano durante le stesse celebra­zioni, spronando i fedeli a riflet­tere sui contenuti della predica e a commentarli in diretta, per non rimanere uditori passivi» . 
 Lei ha scritto dell’esistenza di un blogging religioso che si av­vicina a « un’esperienza con­templativa » , molto lontana dal­l’immagine che si può avere co­munemente dell’attività su un blog. In che senso? 
 «Uno studio a cui ho partecipato sui blog religiosi e pubblicato sul Journal of Media and Reli­gion mostra come vi siano blog caratterizzati da una particolare serietà nell’espressione e nella riflessione dell’esperienza di fe­de. Il blogging può presentarsi sotto molte forme: per alcuni è un semplice modo di raccontare la propria vita quotidiana, per altri è uno spazio di profonda ri­flessione teologica e di forte e­sperienza religiosa. Tra l’altro, questa comunicazione e questa confessione pubblica di fede possono poi spingere altri a di­scutere su blog vari o su Face­book di temi religiosi» . 
 In uno studio sui cristiani di Singapore lei ha messo in evi­denza che laddove è più forte il coinvolgimento ecclesiale, maggiore è l’attitudi­ne a usare i nuovi media per scopi di a­postolato. Pensa che l’impegno sul web possa essere un nuo­vo indicatore della vivacità spirituale di una comunità? 
  «Non penso che l’uso di internet di per sé sia una spia affidabile per quan­to riguarda la fede o la spiritua­lità. Tuttavia fornisce un’indica­zione illuminante di come sin­goli o organizzazioni implemen­tino le proprie attività offline con quelle online, creando si­nergie tra queste realtà. Su un altro piano, posso dire di avere intervistato molte personalità religiose e diverse di loro hanno espresso la necessità che la pro­pria organizzazione sia attiva sulla Rete, con una forte 'pre­senza digitale': perché è perce­pito come un segno di ' crescita' spirituale il fatto che persone prima lontane si avvicinino o fi­niscano per far parte di una Chiesa dopo averne visitato il si­to» . 
 Abbiamo avuto per secoli mis­sionari che si preparavano anni per portare il Vangelo in Paesi lontani a popolazioni non cri­stiane. Quanto è percepita – per esempio nel mondo americano – l’esigenza di formare missio­nari per il web? Vede in questo un ritardo del mondo cattolico rispetto a quello protestante? 
 «I protestanti sono molto attivi, direi quasi imprenditoriali nel loro utilizzo di internet, con siti multimediali, all’avanguardia, di forte impatto. In questo mo­mento sto studiando come tre­cento mega- chiese cristiane in Usa e altrove stiano usando i nuovi media e il microblogging – tipo Twitter – per far crescere le proprie comunità. Molte chie­se hanno siti piuttosto sofistica­ti, con incluse librerie online do­ve si possono acquistare libri, testi di ser­moni e al­tri prodot­ti, così co­me fare donazioni o versare l’obolo. In termini di ' competi­zione' nel ' mercato' religioso si percepisce l’urgenza di avere un profilo at­traente sul web. Per quanto ri­guarda il mondo cattolico, ci so­no anche qui molte realtà che hanno sviluppato applicazioni interessanti – dalla direzione spirituale online a varie possibi­lità di pregare sul web –, ma ce ne sono molte altre che non hanno ancora abbracciato il mondo dei nuovi media con l’entusiasmo e la profondità del mondo protestante. Ho parlato con pastori che mi hanno detto di avere ormai staff di venti o trenta persone interamente de­dicati al lavoro con i nuovi me­dia, inclusa la gestione di siti in­ternet. Ciò rappresenta un’evo­luzione significativa nella ge­stione delle risorse di una co­munità e dà l’idea di come i nuovi media siano importanti per i protestanti, che vi stanno investendo molto» .
 

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