UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Vivere è comunicare”

“La comunicazione è un dato di fatto ineliminabile. Vivere è comunicare. E ancor più per la Chiesa comunicare non è un’opzione tra le altre, ma è una missione, anzi la missione!”. Lo ha detto oggi pomeriggio don Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, intervenendo al convegno regionale sull’informazione in Umbria, intitolato “Cercare la verità per condividerla”.
17 Novembre 2008

“La comunicazione è un dato di fatto ineliminabile. Vivere è comunicare. E ancor più per la Chiesa comunicare non è un’opzione tra le altre, ma è una missione, anzi la missione!”. Lo ha detto oggi pomeriggio don Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, intervenendo al convegno regionale sull’informazione in Umbria, intitolato “Cercare la verità per condividerla”. Richiamando il direttorio “Comunicazione e missione”, don Pompili ha evidenziato che “l’azione ecclesiale non deve tanto essere attenta all’utilizzo di «potenti mezzi», ma deve ripartire dall’inculturazione del Vangelo in un ambiente ormai plasmato dai media e al quale essi forniscono le informazioni e le chiavi di lettura della realtà”. Nel direttorio, ha osservato il sacerdote, si possono rintracciare tre prospettive. La prima è percepire il mondo delle comunicazioni come “il primo areopago del tempo moderno”. E qui subito una ricaduta concreta: “Le forme tradizionali di trasmissione della fede legate alla catechesi, alla vita sacramentale e alla testimonianza della carità sono e restano centrali, anche per il futuro, ma è necessario che nelle loro modalità espressive sia sempre più tenuta presente l’influenza della cultura mediatica e nello stesso tempo occorre allargare l’orizzonte delle vie attraverso cui sviluppare l’annuncio del Vangelo”.
Oggi “la responsabilità dell’annuncio – ha proseguito don Pompili - impone non solo di usare, ma di vivere dall’interno, certo con spirito libero e critico, questa nuova cultura mediale, per tentare di ispirarla con la forza del messaggio cristiano”. Non solo: “Il territorio geografico è sempre stato tradizionalmente il parametro per identificare la comunità cristiana”, ha detto il sacerdote, ma adesso “se si vuol dare al territorio che ha subito una profonda trasformazione antropologica il suo giusto rilievo non si può saltare la mediazione elettronica, che tutti ci avvolge”. E arriviamo alla seconda prospettiva: “I cristiani non devono subire semplicemente il cambiamento mediatico, ma lo devono interpretare alla luce della propria identità spirituale”. La terza prospettiva è “necessariamente quella educativa quando si tratta di comunicare”. “Per contrastare visioni inadeguate e parziali è necessario interloquire con la cultura, cioè con la mentalità plasmata dai media, coltivando una presenza discreta e autorevole all’interno dei vari segmenti della macchina mediatica: giornali, radio, tv, web. Allo stesso tempo dev’essere favorita la possibilità di un’autonoma e libera presenza dei cattolici nel dibattito pubblico con propri strumenti di comunicazione”. Esempi positivi, per don Pompili, sono Avvenire, l’agenzia Sir, Sat2000 e Radio InBlu.