UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Web tv, il nuovo fronte
del video

Il feno­meno delle webTv in Italia sta vi­vendo una forte espansione e trasfor­mazione. Erano 36 nel 2003, 152 solo tre anni dopo. A fine 2011 erano 590 ma al 31 marzo scorso hanno toccato quota 642: una nuova 'antenna' ogni due giorni. Dal 18 al 20 aprile a Bo­logna editori digitali e videomaker (quattrocento gli iscritti) si incontrano per il conve­gno Punto IT: le Italie digitali fanno il punto .
 
18 Aprile 2012
Se fosse il bilancio di un’azienda, il grafico sarebbe una freccia sparata verso il cielo. È il feno­meno delle webTv. Che in Italia sta vi­vendo una forte espansione e trasfor­mazione. Erano 36 nel 2003, 152 solo tre anni dopo. A fine 2011 erano 590 ma al 31 marzo scorso hanno toccato quota 642: una nuova 'antenna' ogni due giorni. Sono i dati registrati da Al­traTv, il primo osservatorio italiano in­teruniversitario sulle micro web tv e sui media locali in rete, che da oggi fi­no a venerdì chiama a raccolta a Bo­logna editori digitali e videomaker (quattrocento gli iscritti) per il conve­gno Punto IT: le Italie digitali fanno il punto .
Sono diffuse in tutto il Paese: il picco in Lazio, dove sono ben 102, seguono Lombardia con 85, Puglia con 63 ed E­milia Romagna con 53. Per due terzi raccontano le realtà locali. Anche mi­nime, persino la vita di un condomi­nio. Paradosso del web: la rete che ha reso il mondo più piccolo diventa la voce del microterritorio.
«La maggior parte di queste webtv non nascono in contesti metropolitani ma in provincia e piccoli paesi, dove resi­ste il tessuto connettivo – spiega Giam­paolo Colletti, fondatore nel 2004 di AltraTv –. È un mondo diviso in due macroaree: i canali geolocalizzati e i canali tematici». Vale dire le antenne la cui comunità di riferimento è terri­toriale e quelle invece attorno alle qua­li si costruisce una comunity virtuale. Entrambe condividono una forte spin­ta dal basso: «La prima webtv che ab­biamo monitorato è stata TeleTorre19, nata nel 2001 e tutt’ora attiva in un condominio nel quartiere del Pilastro, a Bologna. Molte so­no nate dall’associazionismo locale, comitati di cittadini e terzo settore». Si tratta di una caratteristica tutta italiana, spiega Colletti: «Mentre all’e­stero a fondarle sono soprat­tutto singoli, nel nostro Paese le webtv nascono da gruppi di lavoro strutturati». Un fatto che si riflette sui contenuti: «Le webtv nascono per inci­dere sul territorio e hanno un forte rap­porto interattivo con il pubblico. Si oc­cupano di cultura, sport, politica e so­ciale. Sono un contatto importante per gli italiani all’estero: metà degli ascol­ti di MessinaWebTv sono dall’Ameri­ca. In molti fanno inchieste. Tra i me­dia digitali del Sud tanti raccontano mafie e abusi. Alcune, come Teleiato, hanno raggiunto notorietà nazionale. Ma anche in Lombardia ed Emilia Ro­magna nascono webtv che si occupa­no della mafia al Nord». Aprire una tv sulla rete non è costoso: bastano cinquemila euro, tra pc, software, attrezzatura semiprofessio­nale e spazio web. L’importante è che i video vengano caricati in modo co­stante. Cosa che avviene nel 53% del­le webtv italiane, che sono aggiornate quotidianamente. E rispetto a qual­che anno fa, le realtà sono sempre più professionali: «Anche perché si assi­ste a una migrazione delle vecchie tv locali in grossa crisi verso il web. Do­ve i costi sono molto più bassi: pro­durre un’ora di trasmissione sul web costa 1/68 rispetto a una generalista come La7». E c’è chi comincia a fare impresa: «Gli addetti sono diecimila, il 53% ha tra i 30 e 40 anni. Abbiamo stimato che il fatturato complessivo sia di 10 milioni di euro. Diminuisco­no le webtv basate su autofinanzia­mento o donazioni: ora sono il 56% e­rano l’82% nel 2010». Ma è la sosteni­bilità la vera sfida per il futuro. «Ogni anno muore il 20% delle tv, ma il sal­do è attivo. La soluzione sta nel fare rete: unire le forze abbatte i costi». E la frontiera sono smartphone e tablet: il 40% delle webtv ha un app. Erano il 15% solo un anno fa.